Ho incontrato i Bastardi figli di Dioniso durante una loro data del tour. Li ho raggiunti in un locale della provincia di Verona in uno di quei posti in cui si respira la passione per la musica.
Tra la fine del sound-check, pinte di birra e buon cibo, mi hanno raccontato la loro storia attraverso aneddoti vividi e riflessioni profonde di una rock-band di altri tempi. Ecco l’ intervista.
Quando è nata la vostra passione per la musica ?
Jacopo: L’inizio di tutto risale al momento in cui ciascuno di noi ha intrapreso il proprio percorso nel mondo della musica. Fin da ragazzi, abbiamo sviluppato un interesse e una passione per suonare iniziando ad approcciarci con strumenti che successivamente sono cambiati.
Lungo il percorso della vita, si compiono delle scelte che a volte ti portano in direzioni inaspettate. Le persone che incontri lungo il cammino influenzano le tue scelte e, in un certo senso, plasmano il tuo destino. La nostra storia comincia quando, pur non conoscendoci, ciascuno di noi decise di intraprendere la carriera di perito edile, la quale ci ha portato a frequentare la stessa classe presso l’Istituto Tecnico Industriale di Trento.
Parliamo del 2001/2002 giusto ?
Jacopo: Esatto, in quel periodo ognuno di noi suonava con una band del proprio paese. Poi, il giorno di Ferragosto del 2003, abbiamo preso la decisione di incontrarci in una sala prove, per la nostra prima prova insieme. Ed è stato da lì che è nato tutto.
La location era una stalla in cui la mangiatoia era stata coperta con delle assi di legno, diventando così una sorta di sedia. Non avevamo nemmeno le aste per i microfoni, quindi lasciavamo il cavo penzolare dalle travi del soffitto. Quella sera Michele aveva anche deciso di dormire sull’unica poltrona presente, senza sapere che in fondo c’era uno strato d’acqua o chissà cos’altro; quella poltrona era davvero in pessime condizioni ! Io e Federico invece abbiamo dormito per terra.
In quell’occasione abbiamo partorito la nostra prima idea per un brano originale. È stato proprio in quell’ occasione che abbiamo deciso di fare canzoni nostre, di proporre qualcosa di originale, anche se tutto era ancora ovviamente un’ idea.
Ciascuno di noi aveva già esperienza nel suonare cover con altre band, ma volevamo trovare persone che condividessero la stessa voglia di creare qualcosa di nostro, di proporre qualcosa di nuovo nel panorama musicale italiano.
Perchè il genere rock, da dove arriva questa decisione ?
Jacopo: Ricordo di aver ascoltato la cassetta degli AC/DC “Blow up your video” per cinque anni di fila, durante il tragitto in autobus da casa a scuola. Ma ho anche esplorato generi più estremi, come i Brutal Truth e i Black Sabbath.
Federico: Mio padre è sempre stato un chitarrista; aveva una band negli anni ’70. Tuttavia, non mi ha mai costretto a suonare. Ho iniziato a suonare dopo le giornate del catechismo, il primo anno con il solfeggio e nel 1993 ho imbracciato il primo strumento. Ho imparato a suonare la batteria perché nel mio paese, c’era solo un ragazzo che voleva suonarla ma la scuola di musica non poteva permettersi un maestro solo per lui. Così mi è stato chiesto se volevo imparare a suonare la batteria ed ho iniziato. Ho imparato i rudimenti e poi la chitarra.
Ho iniziato da autodidatta perché a casa c’ era una chitarra di mio padre ma lui non la suonava mai. Quando è partito per fare volontariato in Brasile per un paio di settimane, ho colto l’occasione per imparare a suonarla, anche se era totalmente scordata. Ricordo che in quel periodo era uscito il singolo “Tender” dei Blur e mi piaceva molto, così ho pensato di studiarla. Purtroppo, però, inconsapevole del fatto che la chitarra forse scordata, l’ho imparata in un’ altra tonalità. Quando mio padre è tornato, ho suonato la canzone per lui e mi ha detto: “Va bene, ma la chitarra è scordata”.
Mi fa ridere ora a pensarci, mi è tornato in mente quando suonavo le cover di Vasco e Ligabue e le proponevo con le band con cui ci esibivamo alle feste di paese. Era divertente perché tutti gli amici venivano a ballare. Da lì ho cominciato ad ascoltare i Guns N’ Roses e quel tipo di rock. Pensa che successivamente ho smesso di ascoltarli a seguito di una vacanza con degli amici, durante la quale abbiamo passato una settimana a parlare con i titoli delle canzoni dei Guns. E’ stato uno shock a tal punto che oggi ho quasi il vomito quanto vedo una copertina dei loro album.
Michele: Io ho studiato cinque anni di chitarra classica, poi però mi sono stufato. Mi hanno prestato una chitarra elettrica e con il mio insegnante di allora ho deciso di dedicarmi all’ elettrica. Nel mio paese c’erano più band e fan di musica punk rock che di rock vero e proprio. Io ho iniziato con un gruppo suonando le canzoni degli Offspring.
Il vero e proprio viaggio musicale parte nel 2003 quando avete deciso di portare fuori dalla sala prove la vostra musica.
Michele: Sì, abbiamo cominciato fin da subito a portare la nostra musica in giro.
Federico: Mio padre aveva una falegnameria e utilizzava ogni giorno un furgone per i suoi spostamenti dai clienti. Noi avevamo l’ esigenza di trasportare strumenti e impianto per le esibizioni nei locali così, ogni sera quando mio padre rientrava dal lavoro, scaricavamo il furgone e lo caricavamo con le nostre cose partendo poi per la location in cui ci saremmo dovuti esibire. Finito il concerto, scaricavamo tutto per lasciare il furgone libero la mattina dopo. Era un’organizzazione piuttosto macchinosa, ma era il primo passo verso la realizzazione del nostro sogno musicale.
In quali locali suonavate ?
Jacopo: Inizialmente credo che abbiamo suonato in tutti i bar del Trentino. Ci siamo proposti ovunque ci fosse stata la possibilità di esibirsi.
Quando arriva il primo disco ?
Michele: Nel 2005 abbiamo prodotto la nostra prima demo in maniera del tutto artigianale da presentare ai locali per garantirci i primi concerti.
In che senso artigianale ?
Jacopo: Il nostro primo demo è stato registrato utilizzando il computer fisso dell’ufficio della falegnameria del papà di Federico. Abbiamo collegato l’ impianto direttamente al computer con un cavo e un microfono che penzolava dalle travi della sala prove.
Quindi dalla demo del 2005 a quando il primo album ufficiale ?
Jacopo: Nel 2006. Per il nostro primo album, siamo andati in uno studio vicino a Trento. Abbiamo autoprodotto l’album utilizzando i soldi del fondo cassa. È stato un passo importante per noi, perché ci ha permesso di dare una forma più definita alla nostra musica e di presentarla con maggiore professionalità.
Ok, quindi avete accantonato i guadagni dei concerti per poi investirli nel disco.
Jacopo: Abbiamo adottato un approccio di investimento dei guadagni dei concerti per finanziare la produzione del nostro primo album. Non ci siamo mai divisi i soldi del gruppo; abbiamo sempre mantenuto un fondo cassa per eventuali spese ed investimenti futuri. Successivamente, grazie alla vendita dei cd ai concerti, siamo riusciti a rientrare dei costi della produzione in un periodo di uno o due mesi. Avevamo fatto dei calcoli, stabilendo il numero di dischi che avremmo dovuto vendere ad ogni concerto per coprire le spese del disco.
Per vendere così tante copie in pochi mesi sta a significare che suonavate parecchio in giro.
Jacopo: Nei primi anni, suonavamo in media circa 80 concerti all’anno ma siamo arrivati a toccare anche quota 200 concerti in un anno. In quel periodo suonavamo praticamente ogni giorno. Ricordo che ogni notte, a termine del concerto, dovevamo restituire il furgone al padre di Federico, poiché doveva utilizzarlo il giorno seguente per la sua falegnameria. Il giro era: arrivare in sala prove, caricare il furgone, partire, suonare, ritornare, scaricare per poi ripetere l’ indomani la stessa cosa. Era un ritmo estenuante, ma eravamo motivati dalla passione per la musica e la voglia di suonare.
Una bella gavetta che vi ha fatto approdare a X Factor.
Jacopo: Un giorno riceviamo una chiamata dal ragazzo con cui registravamo i dischi, il quale ci disse che la produzione di X Factor lo aveva contattato chiedendogli se conosceva delle band da proporre. Aveva pensato a noi e ci chiese se poteva suggerire il nostro nome.
La nostra risposta iniziale è stata un netto “No”. Non ci sentivamo in linea con quel tipo di programma televisivo ma, i nostri genitori, ci hanno consigliato di provare, sostenendo che alla fine non avremmo perso nulla se non fosse andata bene; al massimo avremmo fatto una bella gita a Milano.
Così abbiamo deciso di accettare, senza troppe aspettative. Eravamo certi che saremmo tornati a casa subito, dato che il livello delle altre band era molto alto. Erano tutti bravissimi. Alla fine, siamo arrivati in finale, conquistando il secondo posto.
Come site arrivati a pensare di fare rock e cantare tutti e 3 ? Solitamente nelle band c’ è sempre un frontman che emerge sul resto del gruppo.
Jacopo: Per noi, l’idea di fare rock e cantare tutti e tre è nata dal desiderio di sperimentare armonie vocali sui brani. Ci siamo ispirati a gruppi come Crosby, Stills, Nash & Young, dove le armonie vocali sono un elemento distintivo. Il fatto di cantare in tre è diventato per noi qualcosa di naturale, un modo per arricchire le nostre performance e dare un tocco unico al nostro sound.
Ed è quello che vi contraddistingue. Avete fondato il rock con l’ armonizzazione di tre voci; uno stile poco sentito oggi nel panorama della musica rock italiana.
Jacopo: La nostra scelta di armonizzare le tre voci è sicuramente poco convenzionale nel panorama della musica rock italiana. È un approccio anti-commerciale rispetto alla visione tradizionale di un gruppo rock, dove di solito c’è un frontman affiancato da musicisti che fungono da supporto.
Noi al contrario, abbiamo sempre creduto che ognuno di noi, sarebbe dovuto essere un 33,33 % della band in cui ciascun componente ha un ruolo identico all’ altro. Comprendo che questa sia una struttura molto rara nella musica italiana, ma è proprio quella che ci contraddistingue e ci rende unici.
Tornando a X Factor, molto probabilmente alla produzione è piaciuto questo approccio ed ha creduto in voi.
Jacopo: La produzione cercava una band che si rifacesse all’ immagine ed al sound dei Beastie Boys ed ha visto in noi un possibile progetto che sarebbe andato in quella direzione. Ci è stato detto successivamente anni dopo che, quando siamo arrivati a Milano e siamo entrati nella sala in cui facevano i provini, qualcuno della produzione si era espresso in questo modo: “Se sono intonati, prendiamoli subito”. Avevano già deciso che questa fosse una cosa che avrebbe funzionato in televisione, e in effetti ha funzionato molto bene. Però noi non volevamo che il nostro progetto somigliasse a qualcosa che non fosse nelle nostre corde. Durante il programma, cantavamo cover a tre voci senza però poter suonare strumenti. Questo non era esattamente ciò che volevamo fare musicalmente. La nostra massima espressione artistica la davamo e la diamo tutt’ ora nelle performance live suonando ma, lì di suonare non se ne parlava proprio.
Dopo il programma avete fatto un ep ed un album con la Sony. Dato che l’EP contiene prevalentemente cover tranne 2 brani originali, vi chiedo perchè avete deciso proprio quelle cover da inserire nel disco ?
Jacopo: Noi non abbiamo deciso nulla. Le cover non le abbiamo scelte noi; ci venivano assegnate dalla produzione durante il programma e dovevamo interpretarle a modo nostro durante le sfide. Quando eravamo nel programma, una volta ricevuta la canzone, scrivevamo gli arrangiamenti e li inviavamo ad un arrangiatore, il quale a sua volta riarrangiava il pezzo che veniva suonato da altri musicisti.
Quando ho ascoltato l’EP, mi sono chiesto se fosse stato registrato live in quanto, oltre al sound, gli arrangiamenti mi sembrano molto scarni.
Jacopo: È stato registrato di fretta, in soli due giorni. Nel primo giorno abbiamo registrato le parti musicali, mentre nel secondo giorno abbiamo aggiunto le voci.
Dopo l’ uscita dell’ EP cosa accade ?
Jacopo: Dopo il programma, abbiamo iniziato un tour in tutta Italia. È stata un’esperienza assolutamente allucinante. A pensarci, all’inizio suonavamo nei bar con l’unico obiettivo di ricevere da bere invece di pagarlo. È incredibile quanto le cose possano cambiare in così poco tempo.
Quanto è durato il tour ?
Jacopo: Il tour è durato tutta un’estate. Abbiamo presenziato anche in apparizioni che non ci interessavano particolarmente, come quelle nei centri commerciali, che ci davano a volte persino fastidio. Tuttavia, avevamo degli obblighi contrattuali da rispettare e quindi abbiamo deciso di parteciparvi comunque.
Il concerto con più spettatori ?
Abbiamo avuto l’opportunità di suonare in un concerto assurdo con Radio Norba a Bari, un evento davvero fuori dal comune. Eravamo gli unici ad esibirsi dal vivo e saremmo dovuti salire sul palco per ultimi. Il problema era che nel pomeriggio, prima del sound-check, ci siamo accorti che non c’ erano gli strumenti, così sabbiamo dovuto attivarci per noleggiarli. Nonostante le difficoltà, siamo riusciti a farcela. Non ti so quantificare quante persone ci fossero, credo diecimila. Il palco era circondato da spettatori sia davanti che dietro.
Come ci si sente da partire a suonare nei bar per qualche birra ad avere gente che ti chiede gli autografi ?
Ad essere sinceri quello è un aspetto a cui non abbiamo mai dato peso, non ci siamo mai sentiti particolarmente sorpresi o emozionati. Noi suoniamo perché amiamo fare ciò che facciamo, indipendentemente dal fatto che piaccia agli altri. Lo facciamo perché ci appassiona e ci dà soddisfazione personale. Non abbiamo mai voluto avere successo a tutti i costi. Non abbiamo mai inviato i nostri demo a un’etichetta discografica. La nostra priorità è sempre stata la nostra autenticità e la nostra libertà artistica.
Cos’ è successo con la Sony ?
La Sony voleva orientarci verso un approccio artistico più simile ai Beastie Boys, ma questa direzione non rispecchiava il nostro stile e le nostre aspirazioni. Va da sè che se ci avessero proposto brani che ci avessero entusiasmato, li avremmo sicuramente presi in considerazione e avremmo continuato il percorso con loro ma così non è stato. La visione della Sony era lontana da come ci vedevamo noi e da ciò che volevamo fare. Fondamentalmente cercavano degli interpreti, non dei veri musicisti e tanto meno degli autori. Questo ha portato a delle divergenze creative che hanno reso difficile la collaborazione con l’etichetta.
Quindi oltre all’ EP avete comunque prodotto un album con la Sony. Riascoltando quel disco oggi lo vedete comunque come un album ” vostro ” oppure siete dovuti scendere a compromessi ?
Sempre compromessi fin dall’ inizio. Non avevamo mai abbastanza tempo per nulla. Eravamo costantemente in movimento, senza mai avere un momento per fermarci e concentrarci sul lavoro di produzione. Sì è vero, abbiamo ottenuto il fatto di poter registrare vicino a casa, nelle nostre montagne dove ci sentivamo e ci sentiamo tutt’ ora più a nostro agio, cercando di essere liberi nel nostro processo creativo. Tuttavia, tutto è stato fatto di fretta.
Così la decisione di interrompere il contratto.
Siamo riusciti a farci licenziare. La situazione è stata complicata perché avevamo firmato una clausola, un po’ per nostra ingenuità, che non avevamo compreso appieno. Questa clausola stabiliva che l’EP non sarebbe stato considerato come un album e da contratto ne dovevamo produrre tre ma ne avevamo realizzato solo uno. Non volevamo registrare altro materiale perché tutto ciò che avremmo registrato sarebbe diventato di proprietà della Sony. Dato che l’ etichetta non ci aveva mai sollecitato a registrare altro materiale, il rischio era che saremmo rimasti bloccati per sempre se non avessimo deciso di interrompere. Siamo riusciti di comune accordo a svincolarci e a poter incominciare ad essere realmente liberi.
Arrivano gli opening act importanti. come è arrivata la notizia del fatto che voi avreste aperto il concerto dei Green Day ?
All’ epoca lavoravamo con Live Nation e un giorno abbiamo ricevuto una telefonata che annunciava che da lì a tre giorni avremmo dovuto aprire il concerto dei Green Day. Sebbene fosse una sorpresa, eravamo un po’ preparati perché l’anno precedente avevamo suonato all’Heyneken Jammin Festival. Tuttavia, questa volta abbiamo avuto almeno tre giorni per prepararci, mentre per l’Heyneken non avevamo nemmeno avuto il tempo di fare le prove.
Raccontatemi l’ emozione che si prova a salire su di un palco così importante.
All’inizio, l’adrenalina è alle stelle. Senti il battito accelerare mentre ti prepari a esibirti di fronte a migliaia di persone. Ma una volta che sei sul palco, la tua concentrazione prende il sopravvento. Il tuo unico obiettivo diventa eseguire al meglio possibile la tua performance, dando il massimo di te stesso.
Quel giorno siamo arrivati sul luogo del concerto e abbiamo visto un capannone enorme con tutti i camerini dentro. Ci hanno dato istruzioni rigide, dicendoci di non bere alcolici e di non fumare. Noi, che stavamo già aspettando di bere una birra, siamo rimasti fuori nel nostro furgone, con una cassa di birra a farci compagnia.
I Green Day li abbiamo visti solo nel momento in cui siamo scesi dal palco e gli abbiamo lasciato la scena e i loro spettatori. Nello scendere dalle scale ci hanno rivolto un complimento, dicendo ” bello show “. Non abbiamo neanche risposto o forse un cenno di ” grazie ” con la mano. Può sembrare una gesto da chi ” se la tira ” , in realtà è che non volevamo disturbare perché siamo fatti così. Per noi è importante rispettare gli spazi degli altri e non creare fastidi. Non è una questione di snobismo, ma di rispetto reciproco.
Jacopo: Ti faccio un esempio: quando abbiamo lasciato il palco a Robert Plant, dopo aver suonato, ci siamo incrociati e io gli ho fatto un cenno con la mano. Lui ha risposto allo stesso modo e basta, senza bisogno di altro. Non ci siamo nemmeno mai fatti una foto ! Siamo terribili in questo, chissà quando avremo di nuovo l’opportunità di vivere esperienze del genere.
Nel 2014 arriva l’ album “ The Bastard Sons of Dioniso “ in cui c’ è una collaborazione con Bugo. Com’ è nata questa collaborazione ?
Jacopo: Sì, quel titolo dell’ album è un grande enigma perchè in realtà è un rebus. All’interno della copertina del disco c’è un gioco che ti sfida a trovare il vero titolo del disco. Un’idea creativa e intrigante che aggiunge un elemento di mistero e coinvolgimento per i fan.
Federico: La collaborazione con Bugo è nata in modo piuttosto insolito. Bugo aveva inviato alla Sony una canzone che aveva scritto appositamente per noi, sperando che potessimo utilizzarla come singolo d’uscita durante il programma X-Factor. Tuttavia, la Sony non ci aveva mai informato di questa proposta. Solo dopo un paio di anni abbiamo scoperto questa situazione. Abbiamo quindi preso la canzone e l’abbiamo arrangiata a nostro modo. Bugo ha apprezzato la nostra interpretazione e così è nata questa collaborazione.
Esce poi un album acustico.
Federico: L’album acustico è stata un’opportunità per noi perché avevamo delle idee acustiche in mente e abbiamo deciso di registrarle. Abbiamo quindi rivisitato i brani passati in questa nuova formula dando loro un nuovo respiro e una nuova dimensione.
Ascoltando Cambogia, l’ album del 2017, sento un cambiamento sia di sonorità che di composizione, cosa è successo in quell’ album ?
” Cambogia ” ha segnato alcuni cambiamenti significativi sia nelle sonorità che nella composizione. Abbiamo deciso di cambiare produttore per questo album e questo ci ha permesso di registrare con tutta la calma e la tranquillità di cui avevamo bisogno. Abbiamo potuto prenderci nostri tempi e lavorare senza le pressioni delle tempistiche imposte.
C’è stata un’evoluzione nella fase di scrittura dei brani, cercando di semplificare i concetti che volevamo esprimere. Abbiamo avuto la libertà di prenderci il tempo necessario per farlo, senza dover sottostare a delle scadenze imposte. Questo è stato fondamentale per noi nella produzione di questo album. Oggi sentiamo la necessità di prenderci il tempo che ci serve per fare le cose nel modo migliore possibile.
Infatti dopo “ Cambogia “ ci sono voluti cinque anni prima di arrivare all’ ultimo album. E’ un tempo importante di uscita tra un disco e l’ altro. E’ stato per caso un momento in cui avete pensato di fermarvi e casomai di prendervi una pausa ?
Non ci siamo mai fermati. Abbiamo sempre continuato a suonare estate e inverno fino a quando è arrivato il Covid che ci ha imposto di doverci fermare. In quel momento sono anche arrivate le idee per quello che è il nostro ultimo album ” Dove sono finiti tutti ? ” .
Ha un significato particolare questo titolo ?
Ha un significato particolare legato al periodo della pandemia. Rappresenta la nostra voglia di ritornare a suonare e di ritrovarci con le persone. Esprime il desiderio di scoprire dove sono finite tutte le persone che incontravamo e conoscevamo, e la mancanza di quel modo naturale di fare le cose uscendo, incontrandosi e ricongiungendosi che era parte della nostra vita prima della pandemia.
In questo album c’ è un singolo che trovo fantastico che è “ Il mio tesoro “ e il featuring con il coro della Sat lo rende un qualcosa di geniale. Com’ è nata questa idea ?
Volevamo pubblicare un singolo per festeggiare il ventennale dei Bastard Sons of Dioniso, ma non avevamo un brano nuovo disponibile. Dopo aver discusso con il nostro manager Piero, che suggerì di realizzare un featuring con Orietta Berti ma, poiché non ci sembrava adatta al nostro stile, abbiamo deciso di percorrere un’ altra strada; cercare un modo per includere un coro nel ritornello. Volevamo che il coro fosse potente e strutturato, quindi abbiamo contattato il coro della SAT, in quanto Piero ci disse che se dovevamo aggiungere un coro, avevamo bisogno del migliore in Italia. Dopo aver sentito la canzone, il coro ha accettato con entusiasmo e si dichiararono onorati di collaborare con noi. Hanno creato e arrangiato le armonizzazioni per il brano.
All’ interno di questo disco sento delle situazioni di stili differenti: c’ è l’ utilizzo di synt, ci sono molte chitarre acustiche e sembra che stringa più l’ occhio al pop/rock è così ?
Questo disco è stato mixato da Marco Dallago, un tecnico del suono incredibile che ha contribuito a conferire all’ album un suono ben definito. Questo disco infatti suona bene su qualsiasi impianto.
Jacopo: Questa forse è stata la prima volta che, quando abbiamo finito il lavoro, ho detto di essere contento. Credo che sia dovuto al fatto che siamo riusciti a prenderci tutto il tempo che ci serviva senza avere date di scadenza predefinite.
Come vedete oggi lo scenario della musica italiana ?
Jacopo: Parlando di noi, abbiamo fatto una scelta faticosa e impegnativa, ovvero quella di suonare e fare concerti. Quella di girare mezza Italia con un furgone e farci il culo. Suoniamo per essere liberi e per divertire le persone che vengono ai nostri concerti. Lo scenario mainstream italiano oggi è molto lontano dalla questa scelta. Non mi permetto di giudicare nessuno, anche perchè ognuno è libero di fare ciò che vuole ma, quando vedo personaggi che fanno un concerto sedendosi su un trono e a malapena cantano, venendo anche pagati, bè è un pò frustrante. Evidentemente oggi per raggiungere risultati rapidi e veloci occorre approcciarsi alla musica con un atteggiamento che si discosta completamente rispetto al nostro modo di concepire e fare musica.
Federico: Gli artisti di cui parla Jacopo non hanno nessuna colpa, ma una grossa responsabilità ce l’ hanno quei genitori che danno la possibilità ai figli di andare a vedere certi concerti. Quello che voglio dire è che la responsabilità di guidare i gusti musicali delle nuove generazioni ricade anche sui genitori, che possono influenzare le loro scelte e le loro visioni sulla musica. Mi dà i nervi da genitore vedere che non c’ è meritocrazia. Da genitore non costringerò mai i mei figli a suonare uno strumento ma, per quello che posso, almeno sul gusto musicale e su tutto quello che ne concerne, cioè il messaggio che vuole trasferire una canzone, il testo, il video, sarò molto rigido. La responsabilità della musica italiana oggi rimane anche di responsabilità dei genitori. Poi guardi Sanremo e capisci che lo specchio della musica italiana oggi è quella lì.
Un suggerimento per chi volesse in qualche modo intraprendere la carriera di cantante o musicista oggi.
Jacopo: Divertirsi e basta.
Michele: E’ un suggerimento per la vita non per la carriera.
Federico: Se pensiamo che ci sono cantanti che già giovanissimi hanno bisogno di fare delle pause perché sono arrivati “ alla frutta “ vuole dire che l’ industria discografica sta tirando troppo la corda . E’ tutto troppo veloce e troppo “ tutto subito “ .
Jacopo: Quello che possiamo dire è che oggi la gente si stupisce a vedere gli artisti suonare dal vivo, sono sempre meno quelli che suonano dal vivo uno strumento mentre dovrebbe essere la “ normalità “ .
È fondamentale coltivare la passione per la musica e dedicarsi al proprio sviluppo artistico senza fretta e senza sentirsi obbligati a seguire i tempi imposti dall’industria musicale. È importante anche mantenere un equilibrio tra l’aspetto creativo e quello commerciale della musica, cercando di restare fedeli alla propria visione artistica senza compromettere la propria integrità.
Secondo voi il rock è morto?
Federico: No, ritorneranno “ i chitarroni ” prima o poi .
Se oggi doveste ripensare a quello che avete fatto, rifareste tutto quanto oppure cambiereste qualcosa ? X-Factor lo rifareste ?
Jacopo: Sì e per quanto riguarda il programma, quest’ ultimo ci ha dato una visibilità che forse non saremmo mai riusciti ad ottenere. Siamo usciti dal nostro contesto regionale e siamo arrivati nelle case di tutti gli italiani. Però, come abbiamo detto prima, ci siamo distaccati da quel contesto prettamente ” commerciale ” focalizzandoci più sulla passione e sulla gioia di suonare piuttosto che all’ aspetto commerciale. La musica è qualcosa che succede mentre sei in una determinata situazione ed entra a far parte della tua vita. Per noi la cosa più bella è trovarci in sala prove, far finta di fare le prove e berci una cassa di birra mentre siamo lì a chiacchierare. Questo per noi è il top.
Ho l’ ultima domanda per voi ed è questa : 3 dischi che hanno caratterizzato il vostro percorso musicale.
Federico: Led Zeppelin 2 dei Led Zeppelin, Grace di Jeff Bucley, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles.
Jacopo: Highway to hell degli AC/DC, Electric Avenue di Eddy Grant, Never Say Die dei Black Sabbath.
Michele: Like Clockwork dei Queens of the Stone Age, Powerage degli AC/DC, Led Zeppelin 2 dei Led Zeppelin.
Grazie, abbiamo finito. E’ stato un vero piacere per me ed ora mi godrò il vostro concerto.