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Fabio Ferraboschi: conversazioni con un artista poliedrico, la sua storia e il rapporto con la musica italiana

Negli anni '90 ha fondato uno tra gli studi di registrazione più importanti d' Italia. L' intervista inedita a Fabio Ferraboschi, musicista, songwriter e produttore discografico.
Foto: Roberto Gatti

Partiamo dall’inizio. Quando hai cominciato a fare musica?

Ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica proprio come molti “cinnazzi” (ragazzini) della mia generazione, formando gruppi musicali. Nel mio caso ero legato alla parrocchia, che era il mio centro di aggregazione in quel momento.

A 12 anni, iniziai a suonare il basso. La scelta di questo strumento non fu casuale: suonavo la chitarra, ma avevo ben presente che ci fossero chitarristi molto più abili di me, mentre il basso non lo voleva suonare nessuno, così decisi per quello strumento. 

La prima esperienza fu in una band che faceva cover degli Iron Maiden.

Io provavo a suonare qualcosa che assomigliasse il più possibile a quei giri di basso, anche se devo ammettere che all’inizio era tutto molto confuso. 

La passione per la musica si radicò così profondamente in me che sapevo, più o meno consciamente, che prima o poi avrei fatto di essa la mia professione. 

Spesso le passioni vengono tramandate, oppure c’ è un evento scatenante che ti fa appassionare. Per te com’ è stato ? 

Nel mio caso, l’amore per la musica è stato innescato dal vedere qualcuno suonare la chitarra. 

Imparai così anche io i primi accordi e riuscii con quelli ad accompagnare un mucchio di canzoni.

Oltre ad accompagnare le canzoni dei famosi cantautori cominciai a scrivere canzoni anche io. 

Questo desiderio mi ha portato a esplorare gli aspetti tecnici della musica in modo sempre più approfondito, finché la passione vera e propria non ha preso il sopravvento. 

Poi come prosegue la tua formazione ?

Intorno ai 18-19 anni, ho intrapreso un percorso presso un’accademia di musica a Modena, dove ho studiato chitarra jazz, accompagnato da un caro amico. 

È stato durante questo periodo che ho iniziato a dare i nomi alle cose che già conoscevo intuitivamente.

L’accademia musicale è stata fondamentale in una fase di transizione della mia vita, portandomi gradualmente verso un approccio più professionale.

Tuttavia, c’era un aspetto che mi incuriosiva: il processo della registrazione musicale.

Sin dai tempi delle prime sale prove, ho sempre avvertito una certa frustrazione nel non riuscire a percepire appieno il suono di quello che accadeva intorno a me.

In uno studio di registrazione, invece, era possibile plasmare il suono con una precisione impeccabile.

In quel momento ho capito che la mia vera passione risiedeva nel mondo del suono e della sua manipolazione creativa oltre che nello scrivere canzoni.

Ascoltavi parecchi dischi immagino.

Ascoltavo le cassette perchè non avevo le possibilità economiche per comprare i dischi. 

Quindi mi affidavo alle registrazioni fatte da amici più fortunati, che gentilmente mi facevano copie dei loro album su cassette C90 o C120.

Intanto, a quei tempi, a Reggio Emilia, non c’erano studi professionali.

Parliamo di che anni ?

Parliamo dell’ 88/89 .

E cosa è successo ?

Quel periodo della mia vita è stato caratterizzato da un’esperienza significativa: ho trascorso 24 mesi facendo il servizio civile a Rubiera, presso la comunità per il recupero dei tossicodipendenti gestita da Don Lanfranco Lumetti, nota come Associazione Nefesh. 

Il mio compito principale era organizzare e sistemare la vasta biblioteca della comunità, composta da circa 15.000 volumi. 

Grazie alla mia formazione umanistica, che includeva un diploma in biblioteconomia ottenuto presso il liceo artistico, mi sono dimostrato particolarmente utile. 

Durante questo periodo di grande trasformazione, ho cominciato a nutrire un’idea sempre più concreta: aprire uno studio di registrazione

Per coltivare questa passione e affinare le mie conoscenze, ho iniziato a investire nell’acquisto di riviste specializzate che trattavano argomenti legati all’home recording. 

Avevo la ferma convinzione che questo fosse il mio percorso, la mia strada da seguire. 

Sì perché immagino che in quegli anni non fosse facile reperire informazioni tecniche adeguate in merito.

Non c’era internet allora e le riviste specializzate erano l’unica fonte di conoscenza disponibile. 

A volte riuscivo a trovare in edicola qualche numero della rivista americana Mix che rivelava tutte le novità del settore.

Poi, durante il servizio civile, il destino mi ha fatto  incontrare una persona inaspettata. 

Era il marito di una ospite della comunità. Aveva anche lui qualche precedente di dipendenza dagli stupefacenti.

Conoscendolo ho scoperto che di mestiere faceva il fonico da studio.

Aveva lavorato presso uno studio di registrazione molto importante di Modena: la Maison Blanche.

Maison Blanche era il primo studio indipendente italiano ed era stato aperto da Umberto Maggi, detto Umbi, il celebre bassista dei Nomadi, a fine anni ’70. 

Claudio Morselli, questo era il nome della persona che avevo conosciuto in comunità,  era un bassista come me ed un esperto audiofilo. Raccontava di aver contribuito in modo significativo alla costruzione e al cablaggio della Maison Blanche. 

Passavamo ore in biblioteca, discutendo di microfoni, apparecchiature e tecniche di registrazione. 

Grazie al suo aiuto prezioso, ho acquisito una maggiore consapevolezza delle sfumature che esistono nell’ ambito della produzione musicale. 

Quindi ti dava dei consigli e suggerimenti ?

Assolutamente sì. 

Io avevo il sogno di aprire uno studio tutto mio, ma mi mancavano i mezzi finanziari per realizzarlo e anche l’esperienza per capire quali fossero gli strumenti giusti per partire.

La strumentazione necessaria per uno studio di registrazione di alto livello, a quei tempi era veramente costosa. 

Considera che un mixer analogico e un registratore 24 tracce più microfoni di qualità, richiedevano un investimento considerevole. 

A quei tempi, i costi potevano facilmente raggiungere i 100-150 milioni di lire, una cifra che oggi sarebbe pari a circa 50-75 mila euro.

Quindi c’ era il problema di dove trovare tutti quei soldi ?

Certo.

La creazione di uno studio di registrazione richiedeva un investimento significativo ma era altrettanto difficile trovare lavoro sufficiente per farlo diventare un’attività vera e propria.

Claudio, con la sua esperienza nel settore dell’audiofilia e la sua passione per la musica, desiderava tornare nel mondo della registrazione, e la sua energia contagiosa mi ha attratto.

Per me, abituato a interagire con persone provenienti da background lavorativi più tradizionali  incontrare qualcuno che si definiva “fonico” di mestiere era veramente inusuale.

Di fronte a tutti i miei dubbi riguardo il lavoro per una struttura del genere la sua risposta era sempre decisa e sicura: “Non preoccuparti, se apriamo uno studio professionale, la gente verrà. Dobbiamo solo essere in grado di farlo”.

Quindi, con questa convinzione abbiamo deciso di fare il grande passo insieme. 

Ok, lui ha fatto la proposta, o meglio ha buttato l’ amo diciamo così.

Sì, Claudio ha lanciato l’idea, ma la questione dei finanziamenti era ancora un ostacolo insormontabile. 

Nessuno di noi aveva i mezzi finanziari necessari per avviare un progetto così ambizioso. 

Decidemmo quindi di rivolgerci al direttore della comunità, Don Lanfranco Lumetti, sperando che potesse fornirci qualche suggerimento o aiuto.

Un giorno, abbiamo avuto il coraggio di parlargli, esponendogli il nostro desiderio di aprire questo studio. 

Ricordo che Don Lumetti ci ascoltò in silenzio, senza rivelare alcuna reazione immediata. 

Dopo un’apparente mancata risposta da parte sua, eravamo pronti a rinunciare all’idea. 

Una settimana dopo, ci ha convocato e ci ha sorpreso con una proposta inaspettata. 

Ci disse che l’Associazione Nefesh aveva acquistato un terreno vicino a Sant’Agata, nel comune di Rubiera (RE), che includeva un vecchio caseificio abbandonato.

 Quindi gli era venuta l’ idea di trasformare quel luogo in qualcosa di particolare, e quella cosa poteva essere proprio il nostro studio di registrazione.

Però, Don Lumetti voleva essere sicuro che il nostro progetto fosse realizzabile e non solo un’ illusione. 

Aveva bisogno di garanzie concrete.

A quel punto Claudio decise che era venuto il momento di coinvolgere Umberto Maggi.

Quello della Maison Blanche ?

Esatto. Claudio decise di contattarlo, nonostante anni di silenzio tra di loro, nella speranza che potesse fornire il supporto e la guida necessari per il progetto.

Abbiamo organizzato un incontro con “ Umbi “ presso il suo studio la Maison Blanche a Montale Rangone, vicino a Castelfranco Emilia in provincia di Modena.

La Maison Blanche era diventata nel frattempo Medicina Blanche perché era stata incorporata da uno studio di Medicina, nel Bolognese.

La sua reputazione nel settore era impeccabile.

A Milano, aveva stretto importanti collaborazioni con etichette discografiche di prestigio come EMI, CGD e SONY. 

I direttori artistici di queste etichette erano suoi amici fidati, e il suo studio era diventato un punto di riferimento per molti artisti di successo degli anni ’80, tra cui Zucchero e Vasco Rossi.

Lo Maison Blanche era uno studio residenziale dove i musicisti soggiornavano per tutta la durata delle registrazioni.

Foto: Manuel Rinaldi

Anche perché immagino che in quel periodo non ce ne fossero tanti di studi di registrazione in Emilia.

Esattamente. 

A Reggio Emilia, ad esempio, c’erano solo alcuni studi privati, come quello di Larry Pignagnoli,  produttore di musica dance. 

Il suo studio a Sant’Ilario vicino a Parma era ben attrezzato con macchine di alto livello e Larry stesso era un fonico molto competente ma, lo studio era riservato principalmente alle sue produzioni musicali e non accettava lavori per conto terzi.

A Bologna c’ erano diversi studi rinomati, come Fonoprint che aveva due sedi, lo studio dell’ Antoniano, lo studio di Mauro Malavasi. 

Reggio Emilia era arretrata in termini di infrastrutture per la registrazione musicale, nonostante fosse una città culturalmente ricca e vivace.

Ritorniamo ad Umbi. Cosa vi dice ?

Umbi era un uomo che aveva visto e fatto molto nel corso degli anni, incluso seguire il tour di Zucchero del 1989 con il suo studio mobile. Quel giorno ci propose di rilevare quella strumentazione.

Quando parli di studio mobile, parli di un qualcosa tipo un furgone ?

In realtà era più grande. Era un mezzo costruito sulla scocca di uno di quei camion per traslochi che potevano entrare anche nelle vie più anguste dei centri storici. 

Il suo interno era davvero sorprendente: sembrava di entrare in uno studio di registrazione tradizionale, ma su quattro ruote.

Umbi aveva preso ispirazione dal celebre studio mobile dei Rolling Stones e aveva adattato l’idea alle sue esigenze. 

Aveva incluso un mixer di altissima qualità e la possibilità dei gestire tantissimi canali audio nonché il fatto di poter registrare su ogni supporto disponibile sul mercato attraverso una concezione molto ampia di cablaggio.

La sua visione innovativa sui live prevedeva di collocare il mixer fuori dalla vista del pubblico, dietro il palco, e di utilizzare casse da studio per il mix del concerto. 

Questa teoria però, non ebbe un seguito nel mondo della tecnologia live.  

Inoltre, Umbi aveva individuato un’altra fonte di lavoro per lo studio mobile nelle collaborazioni con la Rai per  i servizi di gestione audio delle dirette televisive. 

Pero alla fine dell’affare “studio mobile” non si fece nulla.

E quindi cosa fate ?

Abbiamo deciso di non arrenderci e di intraprendere comunque il nostro progetto di costruire uno studio di registrazione. 

Con il sostegno di Umbi , che avrebbe agito come socio portando un po’ di lavoro e dell’Associazione Nefesh che operava come finanziatrice, prendemmo la decisione di trasformare quel vecchio caseificio in un vero e proprio studio di registrazione professionale, che in seguito abbiamo chiamato “ESAGONO” proprio per la forma dell’antico casello.

Tu sei stato uno degli artefici di uno degli studi più importanti d’ Italia ?

Sì, è corretto. Sono stato tra i soci fondatori di uno degli studi di registrazione più significativi d’Italia degli anni ’90: l’ Esagono recording studio.

Scusami, torniamo un attimo indietro, in questo progetto Umbi era poi diventato socio?

Inizialmente si  insieme a me e agli altri membri del team. Tuttavia, con il passare del tempo, le nostre strade hanno preso direzioni diverse.

Dopo quanto tempo più o meno ?

Circa un anno.

Quindi parte questa avventura nel 1990 con te, Morselli, Don Lumetti e Kaba.

Si Kaba Cavazzuti entrò subito all’inizio con me e Claudio assieme all’Associazione Nefesh. 

Era un amico di Morselli da lunga data, un fonico molto bravo e dulcis in fundo un batterista incredibile.

Era stato il primo batterista di Vasco Rossi. 

Dopo qualche anno anche Nefesh uscì dalla società . Vi subentrò mia moglie Lorenza Vallisneri. Con lei alla gestione amministrativa riuscimmo finalmente ad avere una contabilità ed una organizzazione davvero efficienti.

Dal 1995 al 2000 io e Lorenza fummo il 50% di Esagono Srl.

Comunque tornando agli inizi, ci vollero due anni per approntare lo studio Esagono.

E dove lavoravate nel mentre ?

Lavoravamo presso l’Esagono B, noto come Vida Studio, situato proprio qui sotto dove siamo ora. 

Nel frattempo, per sostenere economicamente il nostro impegno ho lavorato anche come freelance con lo studio mobile, dove Maurizio Maggi, fratello di “Umbi”, ricopriva il ruolo di chief engineer. Essendo un fonico di alto livello, lavorare con lui mi ha offerto l’opportunità di imparare molte cose.

Sei stato in giro due anni almeno.

Ho fatto tantissime esperienze con quello studio mobile. Ho girato tutta l’Italia e un po’ d’Europa. Ho partecipato al primo Pavarotti International. 

È divertente pensare al fatto che il motore di quel camion non superasse i 70 chilometri all’ora e a quella velocità arrivammo perfino a Praga.

Quanto tempo ci avete messo ?

Se non ricordo male ci abbiamo messo circa tre giorni tra andata e ritorno. 

Eravamo sempre pronti a partire ovunque ci chiamassero. 

Ricordo di aver seguito per due anni anche una trasmissione musicale della Rai prodotta d’estate chiamata Cantagiro che era il rifacimento del vecchio carrozzone musicale degli anni sessanta. 

Personalmente, ricoprivo il ruolo di assistente di palco, mediando tra gli artisti, i tecnici del palco e lo studio mobile. 

Era un lavoro frenetico, ma appassionante. 

In realtà, eravamo un po’ sotto come organico rispetto alle esigenze di qualche evento, quindi qualche volta dovevamo destreggiarci e inventare soluzioni volanti per far funzionare tutto al meglio. 

Durante il primo Pavarotti International, che annoverava ospiti del calibro di Sting, Brian May, Mike Oldfield e Neville Brothers eravamo circondati da studi mobili di alto livello, come quelli della BBC. 

Ci osservavano con stupore, chiedendosi come riuscissimo a essere così efficienti con le nostre poche risorse. 

Noi eravamo responsabili del segnale audio da inviare ai loro studi. 

Dopo questa avventura con lo studio mobile ?

Finalmente siamo riusciti a partire con lo studio Esagono. All’inizio è stato un po’ complicato, ma abbiamo avuto una fortuna incredibile. 

Dopo gli anni ’80, un’epoca caratterizzata dalla plastica dalle drum machines e dei sintetizzatori, è arrivato un momento di svolta. 

Tornarono in auge le chitarre elettriche.

Nel 1991 uscì “Nevermind” dei Nirvana rivitalizzando il panorama musicale e il mercato discografico mondiale.  

Il rock era tornato ad essere il nuovo pop, la musica di moda promossa dai media.

La nostra struttura, pensata originariamente proprio per questo tipo di musica suonata, ha finalmente trovato la sua giusta collocazione e ha iniziato a funzionare. 

Abbiamo quindi iniziato a lavorare con numerose band perché le case discografiche multinazionali iniziarono a investire in questo nuovo suono. 

Tra i primi clienti del nostro studio c’era Massimo Zamboni dei Cccp, che venne in veste di produttore a registrare due album di Ustmamò per l’etichetta Dischi del Mulo/Virgin. 

Successivamente, abbiamo collaborato con altri artisti dell’etichetta di Zamboni. Fabrizio Tavernelli e i suoi Acid Folk Alleanza ad esempio, pubblicati dalla Sugar di Caterina Caselli, con il quale ho mantenuto un legame costante nel corso degli anni. 

In effetti, di recente ho avuto il piacere di mixare il suo ultimo lavoro. 

Quindi lo studio inizia a prendere piede.

Esattamente.

Poi un giorno ricevo una chiamata da una persona che diceva di essere il manager di Luciano Ligabue.

Chi era Maioli ?

Era in realtà un personaggio di nome Valerio Soave, ora Ceo di Mescal

Abbiamo iniziato a collaborare anche con lui.

Il primo lavoro fu la pubblicazione del primo Lp dei Modena City Ramblers intitolato “Riportando Tutto a Casa”.

Quest’anno compie trent’anni e dalla sua pubblicazione a oggi ha venduto oltre 800.000 copie. Un vero long seller.

E’ stato registrato all’ Esagono ?

E’ stato registrato qui al Vida  praticamente quasi in diretta. Ci siamo presi una settimana per le registrazioni e i mixaggi. 

Inizialmente è stato pubblicato con l’etichetta romana Helter Skelter, specializzata nel punk, che ha distribuito la prima stampa. 

Successivamente, quando i Modena City Ramblers firmarono con Mescal, l’album fu rilasciato con la Polygram, con un brano aggiuntivo intitolato “Il Bicchiere dell’Addio”, registrato all’Esagono insieme a Bob Geldof.

Cominciammo a lavorare con band provenienti da tutta Italia, come Timoria, Gang, Mau Mau, Massimo Volume, Avion Travel.

Ligabue venne a registrare “A che ora è la fine del mondo” il suo disco di schegge sparse, brani prestati ad altri artisti più la cover dei R.E.M. “It’s the end of the word”.

Luciano si trovò a suo agio per il suono ottenuto in quel disco e per il nostro modo di lavorare. 

Quando venne il momento di registrare il suo nuovo album di inediti, “Buon compleanno Elvis”, ci aveva incluso tra i possibili studi per la sua realizzazione. 

Tuttavia, c’ era un problema non da poco. 

Nonostante fossimo ben attrezzati, la tecnologia di quell’epoca avanzava rapidamente, e soprattutto si stavano sviluppando prodotti ibridi. 

Noi avevamo un registratore digitale 32 tracce su nastro, ma era appena uscito un modello a 48 tracce, che noi non potevamo permetterci a causa del suo costo proibitivo.

Le condizioni per Luciano erano quelle per cui il disco lo avrebbe registrato in uno studio che aveva un registratore 48 tracce ?

Le condizioni erano che il disco sarebbe stato registrato in uno studio dotato di un registratore a 48 tracce. Questo perché i contratti che Luciano e gli altri artisti del suo calibro avevano con le case discografiche erano molto rigorosi e prevedevano l’utilizzo delle tecnologie più avanzate disponibili sul mercato, per evitare qualsiasi tipo di problema. Luciano era sempre stato molto attento a questi dettagli. In Italia, in quel periodo, il registratore a 48 tracce era presente solo in pochi studi.

Quindi cosa hai pensato di fare ?

Ho iniziato a cercare soluzioni ovunque per ottenere il finanziamento necessario per acquistare il registratore.

 Tuttavia, nessuno sembrava interessato a darmi una mano.

Una decisione sbagliata avrebbe potuto portarci al fallimento. 

Avevo solo 24 anni, e Morselli mi lasciava da solo a gestire tutte le complicazioni burocratiche. Era una situazione difficile da affrontare.

L’unica persona che mi ha ascoltato è stato il direttore di una banca che mi ha suggerito ben poche soluzioni: o portavo una firma come garanzia, o avrei dovuto portare tot milioni di lire che lui poi avrebbe investito in titoli a garanzia del leasing.

E questo perché nessuna banca avrebbe preso in garanzia per un finanziamento un oggetto così settoriale, costoso e rischio obsolescenza altissimo, come un registratore 48 tracce Sony.

Ricorsi a un amico che aveva aperto una banca etica che finanziava progetti equo-solidali per ottenere il denaro da mettere a garanzia.

Perciò con quei soldi voi avreste dato la garanzia per il leasing ?

Quando il direttore della banca mi vide arrivare coi soldi, rimaste basito. 

Grazie a questa operazione, siamo riusciti ad acquistare il registratore appena in tempo per permettere a Luciano di iniziare le registrazioni per il suo album.

La Warner prenotò l’ Esagono da Aprile a Luglio del 1995 e li venne registrato “Buon Compleanno Elvis”. 

Quindi l’ Esagono registrò un disco che ha venduto più di 1 milione e 500 mila copie ?

Proprio così. Abbiamo registrato la pre-produzione del disco qui, al Vida studio. Mi sono occupato io di questa fase. Sono stato tra i primi ad ascoltare “Certe notti”, suonata da Luciano chitarra e voce. 

Le registrazioni vere e proprie di “Buon Compleanno Elvis” le ha curate, assieme ai mixaggi, Claudio Morselli interamente all’Esagono. 

Ha svolto un lavoro straordinario, creando uno dei migliori dischi in termini di qualità sonora di tutta la carriera di Ligabue e ottenendo un sound fortemente innovativo per tutta la scena musicale italiana. 

È stata una vera svolta.

Ti racconto un aneddoto divertente su questa esperienza. 

Fu fatta una scommessa con Luciano: se il disco avesse venduto 500 mila copie, ci sarebbe stata una festa e lui avrebbe dovuto tagliare fette di mortadella per tutta la serata. 

Alla fine andò proprio così.

E i suoi cinque dischi di platino brillarono per parecchi anni in un quadro appeso nella sala da pranzo dell’accomodation.

Il disco comunque raggiunse il milione e mezzo dopo pochi mesi.

E’ stato di parola.

Certo e quella festa l’ ha descritta nel suo primo libro “Fuori e Dentro al Borgo” . Il racconto che s’ intitola “Pork Party” fa riferimento a quello che ti ho appena raccontato.

Aver registrato quel disco vi ha concesso di fare effettivamente il salto ?

Ha cambiato radicalmente la nostra situazione economica e ha rafforzato la nostra posizione nei confronti delle case discografiche. 

Grazie al successo di quel disco, siamo stati in grado di richiedere compensi più elevati per i nostri servizi.

Successivamente, abbiamo avuto la fortuna di replicare lo stesso successo con Biagio Antonacci, registrando l’album “Mi fai stare bene”. 

La canzone “Iris” ha lanciato l’album, che successivamente ha superato anch’esso il milione di copie vendute. 

Con due successi del genere, ci siamo ritrovati in cima alla lista degli studi di registrazione italiani.

Tuttavia, col passare del tempo, i rapporti con i miei soci si sono deteriorati e nel 2000 ho deciso di uscire dalla società. 

Ero stanco. 

Il decennio trascorso all’Esagono mi aveva dato grandissime soddisfazioni. 

Ma lavorare sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro per dieci anni era stato molto impegnativo.

Inoltre, in quel periodo era nata mia figlia Agata e sentivo il bisogno di tranquillità e di ritornare a concentrarmi su ciò per cui avevo iniziato a fare questo lavoro: scrivere canzoni e dedicarmi ad un mio progetto artistico.

Nel 2000 quindi lasci l’Esagono e parte una nuovo progetto.

Nel 2000 ho preso la decisione di lasciare l’Esagono e ho firmato un contratto con la label di Valerio Semplici dei Black Box, la Radioline. 

Grazie a un anticipo ricevuto dal contratto, ho potuto acquistare il materiale necessario per un nuovo studio. Tuttavia, questo significava iniziare da zero, ricostruire tutto da capo. 

Nel 2000 è nato Busker Studio.

Fra un po’ fai 25 anni di attività. Farai una festa ?

Chi lo sa. 

Ora mi interessa toccare il percorso che tu hai avuto e che tutto’ ora hai da musicista e da fondatore di diverse situazioni musicali differenti. Continuiamo l’ intervista in freestyle quindi parti da dove vuoi.

Sono stato coinvolto in diverse situazioni nel mondo della musica come produttore artistico come strumentista e anche come autore di canzoni.

Come produttore, ho preso decisioni importanti e ho lavorato sodo per portare avanti progetti significativi. 

Ad esempio, negli anni ’93/’94 ho firmato con Ricordi un contratto per la band reggiana “ Mamamicarburo ”, che registrò il l’album all’Esagono. 

Successivamente, ho prodotto un album che ha avuto un impatto significativo nel panorama underground italiano: si trattava di “Nomade Psichico” degli AFA, un gruppo che in quella veste abbracciò il trip hop accompagnandolo con testi profondi e poetici. 

Ho inoltre prodotto un disco di pop elettronico che venne finito di realizzare a New York e che firmò con Bmg Mexico. Era il progetto di un artista reggiano chiamato Davide.

Perdonami, vorrei che tu potessi spiegare a chi non è addetto ai lavori, cosa si intende quando parli di produrre un disco ?

Quando parliamo di produrre un disco, ci riferiamo al processo di trasformare una canzone, spesso già scritta e composta dall’artista, in una registrazione completa e definitiva pronta per essere pubblicata e condivisa con il pubblico. 

Il produttore si occupa di guidare e dirigere il processo di realizzazione dell’opera, prendendo decisioni riguardanti l’arrangiamento musicale, le sonorità, e le varie scelte tecniche durante la registrazione. 

Il ruolo del produttore è quindi quello di trasformare l’idea di una canzone in una registrazione musicale pronta per il mercato.

Ti sei trovato spesso anche in questa veste di produttore. Ma per quanto riguarda i progetti come musicista ?

Un esempio è stato il mio coinvolgimento nei Rio, che è stata una delle mie ultime avventure musicali. 

Inizialmente, sono stato coinvolto come fonico e produttore, ma in seguito mi sono ritrovato ad assumere il ruolo di bassista nella line up ufficiale della band per 15 anni.

Anche se per ora questa avventura si è conclusa, rimarrà sempre un capitolo importante nella mia carriera musicale.

I Rio – ” Gioia nel cuore ” ( Video Ufficiale )

Nella prima fase de i Rio, c’ era il fratello di Ligabue, ovvero Marco Ligabue che è stato il fondatore di questo progetto.

Sì. Il fondatore del gruppo era Marco Ligabue, fratello di Luciano Ligabue. 

Io ho iniziato a scrivere le canzoni per i Rio a partire dall’album “Mediterraneo” , che è il quarto disco della band. 

In quel cd ho ricoperto il ruolo di produttore oltre ad aver scritto la quasi totalità delle canzoni.

Negli album successivi, ho continuato a essere autore, produttore e arrangiatore per la maggior parte dei brani. Mi reputo responsabile del processo creativo di quei dischi.

Dal quarto album in poi Marco non c’ era già più ?

“Mediterraneo” fu l’ ultimo disco con Marco Ligabue.

Ricordo che io vidi un live a Rubiera dei Rio, forse era uscito il secondo disco, in cui voi uscivate a suonare in una veste semi acustica, senza la batteria, con alcune basi, basso, chitarra e voce. Una veste un pò anomala per una band non credi ?

Quel tour a cui fai riferimento fu uno dei miei primi interventi come musicista all’interno dei Rio e avvenne dopo aver registrato il secondo disco che si chiamava “Terra Luna Margherita”.

Marco mi coinvolse come chitarrista per un giro di concerti in veste acustica o elettroacustica che dir si voglia, in cui facemmo cento date su e giù per l’Italia.

Il tour si chiamava “Acustico Vivo”.

Vuol dire suonare un giorno ogni 3 più o meno.

Si, suonammo parecchio.

Quell’ approccio elettro-acustico era una sorta di strategia promozionale molto efficace per presentare le nuove canzoni prima dell’uscita dell’album. 

Queste performance ci permettevano di affrontare una grande varietà di locali e di avvicinarci al pubblico in modo più intimo, senza la complessità logistica associata alla presenza di tutta la band.

Successivamente, abbiamo ripetuto questa esperienza in diverse occasioni quando c’era la necessità muoversi in modo più “leggero”. 

È stato un modo di presentarci funzionale che ci ha permesso di esibirci in vari contesti, compreso un tour in Brasile nel 2008 e nel 2009 e di fare un concerto all’Europarlamento di Bruxelles. 

Inoltre, abbiamo avuto l’opportunità di fare aperture per grandi artisti come Elisa e Luciano Ligabue, il che ha contribuito a promuovere ulteriormente la nostra musica e ad aumentare la nostra visibilità.

Arriva il momento in cui Marco esce dal progetto. Hai voglia di raccontarmi che cosa è accaduto ?

La presenza di un manager che favoriva decisioni individualiste potrebbe aver alimentato il desiderio di Marco di intraprendere una carriera solista. 

Questo senso di smarrimento o di essere messo in secondo piano dal punto di vista autoriale potrebbe poi aver contribuito alla sua decisione di uscire dal gruppo. 

Era chiaro che le aspettative e le visioni per il futuro non erano allineate a quelle degli altri membri della band, e alla fine ciò ha portato a uno strappo inevitabile.

Così è andato avanti per la sua strada.

Si, lui ha proseguito per una sua carriera solista.

Che tuttora va avanti e i Rio sono andati avanti sempre con la stessa formazione ?

Stessa formazione. Abbiamo sostituito Marco con Gio  Stefani chitarrista molto talentuoso che ci ha proposto le sue nuove idee e il suo mood  finissimo fino all’ultimo disco “Stellare”.

I Rio ” Terremosse ” (Video Ufficiale)

Arriva però il momento in cui la band, di comune accordo decide di fermarsi fino a data da destinarsi. 

Sì, coi Rio ci siamo fermati il 18 Novembre 2022 con una data-evento al Vox di Nonantola che ha registrato il tutto esaurito, ed è stata una vera festa di addio, o di arrivederci.

Questo dopo aver pubblicato un ultimo disco intitolato “Stellare” nel giugno dello stesso anno seguito da cinque concerti durante l’estate.

Nel frattempo già dal 2014 con Fabio Mora il cantante dei Rio, avevamo messo insieme un duo di blues chiamato Mora e Bronski

Io sono sempre stato un appassionato di blues, ho prodotto parecchie cose già nei primi 2000.

Con un bluesman che purtroppo è venuto a mancare nel 2009, Enrico Micheletti, e Fabrizio Tavernelli, abbiamo pubblicato un paio di dischi col nome Roots Connection.

Mischiavamo l’elettronica e il blues. 

Con Fabio Mora nel 2014, dato che anche lui è un gran appassionato di blues nasce quindi il progetto Mora e Bronski con il quale abbiamo fatto tre dischi in cui compaiono brani originali e cover ri-arrangiate.

Mora & Bronski – Caterina Della Neve

C’ è un brano in uno di quegli album che si chiama Caterina della Neve  che per me è un brano veramente toccante. come è nato quel brano e di cosa parla ?

“Caterina della Neve” è una canzone che affronta un tema scabroso come l’overdose. È una sorta di “murder ballad” come dicono gli americani, anche se in questo caso il morto non c’è.

Il titolo stesso, “Caterina della Neve”, evoca immagini di purezza e fredda bellezza, che contrastano con la durezza della realtà che la protagonista affronta.

Tu hai anche collaborato con un’artista che tra l’altro in un’edizione di Sanremo ha vinto il premio della critica che è Cristiano De Andrè con cui hai lavorato alla stesura dei brani. Come è nata questa collaborazione ?

La collaborazione con Cristiano De André è nata e cresciuta nel corso degli anni. 

Conoscevo Cristiano fin dai tempi dell’Esagono.

Venne in studio per registrare un suo disco con Beppe Quirici e Stefano Melone già produttori di Ivano Fossati. Questo album si intitolava “Sul Confine”.

Successivamente, nel 1996, partecipai a una trasmissione televisiva in cui Cristiano De André e i Gang si esibivano insieme cantando “Le Storie di Ieri” una canzone di Fabrizio De André e Francesco De Gregori. Io suonavo il basso nella band.

Dopo un lungo periodo, ci siamo ricontattati nel 2013 quando avevo in studio la band  di Cesena “Blastema”, prodotta da Dori Gezzi e Luvi De André per Nuvole Production

Dori mi disse che Cristiano stava cercando nuove canzoni per il suo album e mi chiese se avevo del materiale da fargli ascoltare. 

Gli inviai alcuni dei miei brani.

Cristiano poi mi chiamò e discutemmo di come procedere col materiale. 

Uno di queste canzoni, intitolato “Credici”, fu pubblicata nel suo album “Come in cielo così in guerra”. 

Cristiano apportò alcune modifiche significative al testo, cosa che mi sorprese un po’, ma la melodia rimase pressoché intatta.

Un altro brano, “Invisibili” sempre pubblicato in quell’album, fu portato da Cristiano a Sanremo nel 2014, quando Fabio Fazio era il conduttore. 

“Invisibili” vinse il premio della critica “Mia Martini” e quello come miglior testo “Sergio Bardotti”.

Cristiano De Andrè – Invisibili

Oggi hai anche un tuo progetto personale, me ne vuoi parlare ?

Attualmente sto lavorando sul mio progetto che ha ripreso vita grazie al supporto e alla guida del mio mentore e produttore, Valerio Semplici. 

Questo progetto, intitolato “Bronski”, comprende dieci canzoni che spaziano dal blues alle ballate d’autore e altro ancora. 

Valerio è uno dei tre Black Box, la celebre firma dance degli anni ’90 che ha dominato le piste da ballo in tutto il mondo con il suo sound per oltre un decennio.

Questo album è stato realizzato con passione e cuore, e ci sono anche canzoni rimaste in sospeso per oltre 25 anni. 

Spero che presto possano vedere la luce. 

Puoi darmi qualche info su che tipo di sonorità ha, dove va ad attingere ? perché io prima ho avuto il piacere di ascoltare qualcosa e penso che sia un mix tra la genialità e la follia.

Il mio progetto “Bronski” incorpora una vasta gamma di influenze musicali, derivanti dalla mia esperienza di collaborazione con numerosi artisti nel corso degli anni.

 Personalmente, mi sento particolarmente vicino al blues come genere musicale.

Il blues è più di una parola: è un suono, un’attitudine, un modo di esprimersi che racchiude molteplici sfumature. 

Ciò che mi affascina di più è la spontaneità dei cantanti storici di questo genere, anche se riconosco che oggi il blues è diventato più formale, come anche il jazz.

Tuttavia, nel mio progetto, non voglio solo riproporre il blues tradizionale. 

Cerco di creare una musica che sia viva, con sonorità moderne ma che conservi comunque l’essenza delle mie influenze. 

Voglio che sia un “melting pot” di tutto ciò che ho assorbito nel corso della mia vita. 

 Allora Bronski, siamo quasi arrivati alla fine, ma vorrei farti qualche altra domanda un po’ più specifica sulla musica oggi in Italia. come vedi tu oggi lo scenario della musica italiana?

La situazione della musica italiana oggi è estremamente complessa. 

Se parliamo di musica leggera, di ciò che passa in radio e viene definito “pop”, posso dirti che personalmente non mi interessa molto. 

Cioè, non c’ è nulla che faccia sì che una persona di 55 anni come me  si interessi a queste proposte. 

Trovo quindi un po’ noioso l’airplay attuale. 

Non sono uno snob nè un radical chic. Ho sempre amato la canzone pop e il pop in ogni sua forma e colore.

Però oggi è come se tutti suonassero la stessa canzone. Con gli stessi suoni. E mi dicono anche con gli stessi autori.

La promozione della musica italiana mainstream è influenzata da un duopolio radio-televisivo, con RTL e affiliati da un lato e Maria De Filippi con i suoi talent show e le reti Mediaset dall’altro. 

Questo duopolio, unito all’aggressività dei media, porta a una perdita di spontaneità nella proposta musicale.

Personalmente, non guardo più la televisione tradizionale e preferisco cercare le cose che mi interessano on-line. 

Con un semplice clic, posso trovare e scoprire nuovi artisti. Ritengo l’ “On Demand” una grande risorsa al giorno d’ oggi.

Se oggi ti chiedesse un suggerimento un giovane, un ragazzo o comunque qualcuno che volesse provare a vivere di musica, cosa gli diresti ?

Oggi vivere di musica è una sfida senza precedenti, poiché il mercato discografico è stato radicalmente trasformato dalla tecnologia. 

Una volta c’erano dischi da vendere, ma ora la musica viene principalmente distribuita tramite streaming, il che rende difficile per gli artisti ottenere guadagni significativi.

Anche il settore dei concerti, sebbene sembri prosperare, presenta le sue sfide, con i musicisti che lamentano spesso di essere sottopagati rispetto ai profitti delle agenzie che si occupano della produzione dei concerti. 

Per quanto riguarda l’inizio di una carriera musicale, penso che sia importante essere flessibili e avere una mentalità aperta. 

Non ci si può più appoggiare solo sulla capacità di saper suonare uno strumento o di saper cantare. 

Oggi è necessario essere in grado di fare di tutto: scrivere canzoni, produrre musica, promuovere sé stessi online e molto altro ancora. 

Anche se suonare bene uno strumento rimane un’abilità preziosa a mio avviso imprescindibile.

Forse aveva ragione David Bowie quando disse che se tu decidi di fare il musicista il cantante o comunque di intraprendere quel mondo lì, devi farlo per te stesso e non per il riscontro del pubblico.

Tolto che David Bowie non è il mio artista preferito, è tuttavia vero che l’arte è spesso intrinsecamente legata alla condivisione e alla comunicazione con gli altri.

Tutti gli artisti desiderano essere apprezzati e riconosciuti dal pubblico, e non c’è nulla di sbagliato in questo. 

La creazione artistica può essere un’esperienza intima e personale, ma il desiderio di condividerla e di essere compresi è una parte naturale del processo artistico. 

Quindi, sebbene sia importante fare musica per se stessi, è altrettanto legittimo voler essere apprezzati e ascoltati dagli altri, la dove è possibile.

Abbiamo quasi finito, ma ho ancora un’ ultima domanda per chiudere l’ intervista. Immagina di essere in una immensa stanza della musica in cui puoi trovare tutti i dischi che vuoi ma ne puoi scegliere solo tre. Quali album scegli ?

Sicuramente le registrazioni complete di Robert Johnson.

Poi le “Variazioni Goldberg “ di Bach perchè c’è tutta la musica occidentale per come la conosciamo.

 Poi direi “The Koln Concert” di Keith Jarret.

Se c’ è posto per un quarto disco direi anche “Blood On the Tracks” di Bob Dylan.

Bene, abbiamo finito. Ti ringrazio tanto.

Prego.

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