Gabriella, ciao e intanto grazie per aver accettato questa intervista.
Ciao!!! Grazie a te.
Mi piace iniziare le interviste dal principio, perché le storie possono essere di grande ispirazione per chi legge. Vorrei quindi chiederti: chi è Gabriella Martinelli e come è iniziato il tuo percorso artistico? Sei non solo una cantante, ma anche un’autrice, compositrice, pittrice e molto altro. Raccontaci la tua storia.
Sono nata a Roma, ma sono cresciuta in un piccolo paesino della provincia di Taranto, Montemesola. Un paese di pochissimi abitanti, con tanti archi, dove ci si conosce tutti e le signore siedono davanti le porte di casa.
Mi sono avvicinata alla musica molto presto, in macchina di mia mamma il volume era sempre molto alto e si cantava musica italiana.
Ero una ragazzina ribelle e mia mamma ebbe l’intuizione di mettermi in mano una chitarra.
Un giorno mi portò in un negozio di musica a Taranto e comprò una chitarra molto costosa, nonostante non se lo potesse permettere. Vengo da una famiglia umile, e mi disse: “Non permettere mai a nessuno di dirti che non ce la puoi fare. Puoi fare quello che vuoi e dire le cose come vuoi” .
Quella chitarra divenne da subito la mia via di fuga. Mi riusciva più facile cantare quello che provavo piuttosto che parlare.
Ho iniziato a scrivere canzoni per mettere in ordine i miei pensieri, poi c’ho preso gusto.
Quanti anni avevi quando tua mamma ti ha regalato la prima chitarra?
Frequentavo le scuole medie. Ho iniziato con il classico corso di musica a scuola, poi ho continuato con il conservatorio.
Hai studiato cosa al conservatorio?
Chitarra classica.
Wow, è un percorso tosto la chitarra classica.
Sì, è stato un percorso impegnativo ma affascinante.
Avevo un maestro dolcissimo, con la barba folta e il sorriso di Babbo Natale. Il maestro Pino Forresu. Con lui studiavo musica classica ma tornavo a casa e mi divertivo a scrivere le mie canzoni che con Bach e Tarrega c’entravano molto poco.
Dopo il diploma ho lasciato la mia terra perché avevo un sogno: volevo vivere di musica e conoscere il mondo. Ho trascorso tanti anni a Roma, bellissima ma tosta, Roma ti seduce e poi ti abbandona.
Lo dicono in tanti, sai ? Soprattutto chi non ci nasce ma si trasferisce, ho sentito diverse persone dire questa cosa.
Sì, perché Roma è molto accogliente, è una meravigliosa città senza tempo. Ti trattiene con la sua bellezza, con il buon cibo, i romani sono dei grandi amiconi ma le distanze sono enormi, ahimè i mezzi funzionano a fatica.
Io non sono mai riuscita a lasciarla completamente, ci ho vissuto per dieci anni e anche quando sentivo la necessità di andare via, ho impiegato un po’ di tempo prima di farlo.
Ora vivo a Milano. Ho collaborato con un progetto in Africa, “Come to my Home”, voluto dall’ex ministro della cultura marocchina, Drie Saloui. Lui cercava artisti da tutto il mondo, ascoltava i concerti e poi diceva: “Tu mi piaci, vieni con me”. Ho accettato subito e mi sono ritrovata a scrivere e cantare con artisti straordinari che mi hanno insegnato tanto, prima di tutto che diversità è bellezza. E la musica è davvero un linguaggio universale, si può comunicare anche parlando lingue diverse.
Poi sono stata in Perù, scelta come giovane artista legata alla canzone d’autore. È stato bellissimo scoprire che in Perù la musica italiana è molto apprezzata.
Ho suonato anche per strada con il mio amplificatore a batteria e la chitarra, l’ho fatto a Parigi e Berlino, in Spagna ma anche in Italia.
Per quanto tempo hai fatto l’ artista di strada?
Per circa tre anni in ordine sparso nella mia vita.
Ah, addirittura. È un periodo di tempo importante.
Sì, è stato bellissimo perché quando suoni per strada, la gente decide di fermarsi e di regalarti il suo tempo, cosa non scontata. Viviamo in tempi velocissimi, siamo tutti di corsa, non c’è mai tempo nemmeno per un sorriso e ho sempre visto questo come un dono speciale.
Testavo le mie canzoni, anche all’estero, quando non si fermavano toccava rimetterci le mani su… il pubblico ti sceglie.
Eri da sola oppure c’era qualcuno che ti accompagnava?
L’ho fatto da sola e con amici musicisti… tutto molto “rock and roll”.
La mia filosofia era: questa cosa dura in base ai soldi che riesco a racimolare. Magari riuscivo a regalarmi due o tre pernotti, oppure no, quando non c’erano i soldi si tornava a casa.
Poi sono arrivati i dischi, i premi e i riconoscimenti in rassegne importanti come Musicultura, il premio Bindi, il Bianca d’ Aponte, L’ Artista che non c’ era. Questi eventi mi hanno permesso di entrare in contatto con addetti ai lavori e altri artisti.
Ok, ti fermo un attimo e facciamo un passo indietro. Ti sei trasferita a Roma, quindi più o meno a 18 anni?
Sì, a 19 anni, esatto.
E qui hai passato dieci anni della tua vita, cercando di fare in modo che la musica fosse completamente parte integrante della tua vita. Il tuo obiettivo era vivere di musica, corretto ? I riconoscimenti sono arrivati perché presentavi le tue opere, e quindi ti sceglievano, ovvero ti esponevi tu direttamente?
Esattamente.
È stato in quel momento che hai capito che si stava muovendo qualcosa di importante? Quando hai iniziato a capire che forse era il momento di fare il passo successivo?
Non credo ci sia mai stato quel momento, e forse mai ci sarà.
Vivo di continui passi… un mattoncino alla volta, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Ad un certo punto della mia vita ho deciso di vivere completamente di arte dedicando tutte le energie e il mio tempo alle mie passioni.
È successo molto presto. Non è mai stato facile, ho fatto mille lavoretti di contorno per sostenere la mia carriera artistica, per potermi permettere gli studi, gli strumenti.
La vita del musicista, o dell’artista in generale, soprattutto in Italia, non è facile. È una vita che richiede coraggio. Ma non è impossibile. Di buono c’è che il musicista può reinventarsi di continuo in qualsiasi parte del mondo e fare musica significa non solo dedicarsi alla realizzazione dei dischi e dei concerti, ma anche scrivere per altri, arrangiare, insegnare.
Ho sempre cercato di mantenere la mia integrità, la mia identità, anche rinunciando a opportunità economiche nel mondo della musica che avrebbero potuto portarmi oltre.
Sono sempre stata una grande curiosa, guardavo gli altri artisti, imparavo dai più bravi e cercavo opportunità per farmi sentire.
Ho partecipato anche a dei talent, esperienza che mi ha insegnato a rapportarmi con un pubblico più vasto e a esibirmi davanti a una telecamera.
Ho pubblicato il mio primo disco con un’etichetta indipendente di Roma, legata ai miei musicisti dell’epoca, un lavoro familiare.
Il mio primo disco si chiama “Ricordati di essere felice”.
Poi è arrivata “La pancia è un cervello col buco”, un album registrato in presa diretta, come si faceva negli anni ’70. Un lavoro molto cantautoriale, a tratti criptico, figlio di quel mio momento di vita. Un album dedicato interamente ai personaggi femminili: cantavo la mia Puglia, mia nonna, le donne del passato, Jeanne Baret (la prima donna che ha circumnavigato il globo e lo ha fatto vestita da uomo per seguire il suo amato, quando alle donne certe libertà non erano concesse).
Avevi già una band che ti accompagnava quando hai pubblicato il primo disco?
Fin dall’inizio, anche quando frequentavo il conservatorio, ho sempre suonato con altri musicisti, perché credo fortemente che la musica si faccia insieme agli altri.
Chiaramente vado anche in giro da sola e faccio cose da sola, ma la complicità che si crea sul palco con i musicisti è qualcosa di unico. Il mio chitarrista di adesso è lo stesso di allora, di quando avevo 19 anni.
Pensa che io e Andrea Jannicola, che suonerà con me questa sera, ci siamo conosciuti tramite un annuncio su Mercatino Musicale. Lo ricordo ancora, lui con i suoi lunghi rasta, io una ragazzina con gli accenti tutti sbagliati.
Arriva questo disco molto introspettivo, possiamo chiamarlo così ? Quel disco di cui parlavi, molto cantautorale?
Quello è stato il secondo disco. Il primo, “Ricordati di essere felice”, è pieno di Roma, con una traccia intitolata “San Pietro di Notte”, e un pezzo chiamato “Pensieri liberi” che porto ancora in giro. È la visione di una ragazza sognatrice.
Il secondo disco, “La pancia è un cervello col buco”, è nato di pancia, come dico io.
Quello registrato in presa diretta ?
E’ stato molto apprezzato dalla critica ma probabilmente meno dai discografici.
Con quale etichetta è uscito ?
L’ho pubblicato completamente da indipendente. I costi di quel disco li ho sostenuti insegnando e con i miei concerti.
L’hai prodotto tu dall’inizio alla fine?
Sì, e mi sono attorniata di una squadra che ha fatto un grande lavoro, a partire dal mio ufficio stampa di allora, Chiara Giorgi, e chiaramente dai miei musicisti che hanno arrangiato e registrato con me l’album.
E poi arriva Sanremo dopo quel disco. Di che anno stiamo parlando?
Del 2020.
Come si fa ad arrivare a Sanremo da un disco autoprodotto ?
Quando mi sono presentata alle selezioni per Sanremo, non avevo un’etichetta.
Venivo da un disco autoprodotto appunto come dicevamo, che mi ha insegnato tanto.
L’artista non può permettersi di fare solo l’artista, deve conoscere tutto quello che c’è attorno.
Io cercavo un’etichetta che potesse darmi la possibilità di realizzare altri dischi, ma non ho sempre ricevuto feedback positivi.
Te la senti di dirmi quali erano i feedback che ti davano?
Spesso non rispondevano alle mail, oppure dicevano che il loro roster era già pieno o che il mio progetto non era in linea con il loro piano. Ma ci sta, le case discografiche sono prima di tutto delle aziende che devono fare i conti con il mercato, con le tendenze oltre che con i gusti personali di chi ne fa parte.
Poi un giorno ho scritto “Il gigante d’ acciaio”.
Era per te un tema particolarmente sensibile in quanto ce l’ avevi “in casa” .
Sì, è un argomento molto caldo per tutti noi che siamo cresciuti in una città tanto bella quanto sofferta come Taranto.
Quando ho scritto il gigante d’ acciaio stavo tornando a Roma con la Marozzi. Il giorno prima mio cugino, che da poco era stato messo in cassa integrazione all’ Ilva, si era sfogato con me sul suo lavoro di merda, su una strada che aveva dovuto seguire perché lo stesso aveva fatto suo padre … e guai a rinunciare al lavoro fisso, l’alternativa è scappare ma non è facile. “Come faccio a lasciare il mare? Perché devo scegliere se scappare o morire?” mi diceva.
Non ho smesso un attimo di pensare a quelle parole, le ho dovute cantare per lasciarle andare. Non mi ero mai fatta tante domande prima d’ allora sulle scie rosse in viaggio dai finestrini della Marozzi, le stesse che tutte le mattine da Montemesola a Taranto vedevo per andare al liceo.
In quel periodo a Roma io insegnavo anche in una scuola di musica e seguivo altri artisti.
Un giorno arrivó a lezione Lula, che mi fece ascoltare un suo pezzo tutto rappato e suonato alla batteria.
Lì ebbi un’intuizione: le chiesi di integrare la scrittura del Gigante d’acciaio con uno special tutto suo.
Il Gigante d’acciaio era nato per essere prima di tutto un inno alla dignità, è la storia di chi è costretto a scegliere tra vivere e lavorare, una situazione che non riguarda solo la mia città, è un messaggio ahimè che riguarda molti, tutti.
Io e Lula poco dopo ci iscrivemmo ad Area Sanremo.
Avete perciò registrato un demo per presentarlo ad Area Sanremo?
Sì, abbiamo registrato il pezzo, prodotto da Paolo Mazziotti, produttore di fiducia sia mio che di Lula.
Spieghiamo cos’ è Area Sanremo, così da far capire ai non addetti ai lavori di cosa si tratta.
Sì, hai ragione. Ci sono due possibilità per arrivare a Sanremo giovani.
Una è attraverso le etichette discografiche, che iscrivono direttamente l’artista ad un concorso che permette loro di fare una serie di audizioni di fronte agli autori di Sanremo.
L’altra possibilità è Area Sanremo, via aperta a tutti, per cui non è necessario avere un’etichetta.
Area Sanremo ha una giuria che ti ascolta e ti dà la possibilità di esibirti dal vivo da subito anche se per pochi minuti.
Io e Lula abbiamo fatto lunghi viaggi per raggiungere la città di Sanremo per le audizioni, lunghi viaggi anche di notte. Siamo state fortunate perché abbiamo avuto la possibilità di esibirci davanti ad una giuria molto attenta, composta da artisti come Petra Magoni, Andy dei Bluvertigo e Teresa De Sio, Vittorio De Scalzi.
Un’emozione fortissima. Il percorso è stato lungo, alla fine abbiamo vinto il primo posto.
Si arriva così a una selezione di otto partecipanti che poi riceve l’opportunità di esibirsi davanti alla commissione RAI. Da otto poi solo due sarebbero saliti sul palco dell’Ariston.
Qual è stato il momento in cui hai provato l’emozione più forte? Il fatto di salire sul palco di Sanremo o la sera della vostra esibizione pubblica durante la trasmissione?
Ti dirò che, visto che ti piace tornare indietro nel tempo, l’emozione più forte l’ho provata durante la prima prova con l’orchestra a Roma, nella sala dedicata a Fabrizio Frizzi.
Quello è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Quando ho sentito quel pezzo che avevo scritto tra la mia cameretta e il pullman che da Taranto andava a Roma, suonato da quaranta musicisti, con gli archi, ti dico che ho pianto e mi emoziono ancora adesso tantissimo quando lo racconto.
Immagino, anche perché l’orchestra e soprattutto alcuni strumenti come gli archi ti entrano dentro e quando pensi al fatto che hai scritto un brano, in cui metti dentro tutte le emozioni, le sofferenze, e lo senti suonare da un’ orchestra è effettivamente un’emozione fantastica.
Si da morire, Sanremo è stata per me una giostra divertente. Ti dico spudoratamente che vorrei tornarci.
Arrivate a Sanremo, avete firmato quindi un contratto con qualche etichetta?
Per quell’occasione ho firmato con la Warner.
Ok, cosa succede poi?
Succede che dopo Sanremo c’è stata la Pandemia ma anche lì ho visto il lato positivo.
Io un nuovo disco pronto non l’avevo. Sì avevo scritto altre cose ma erano idee e dovevano essere partorite con una certa cura, quindi quella grande pausa forzata, mi è servita per permettermi di scrivere l’album.
Sono stati comunque due anni non facilissimi ma come per molti. Release slittate, zero concerti e tu vedi i tuoi sogni e le tue aspettative dilatarsi.
Ti capisco perché in passato firmai anch’io con una major quindi conosco bene quel meccanismo. Quindi esci da Warner?
Quindi esco da Warner e passano un po’ di anni prima dell’uscita del mio nuovo disco, esattamente tre con esattezza. Arriviamo al 2024 e ad oggi.
Oggi è uscito il mio nuovo disco distribuito da Universal, sia in formato digitale che fisico.
Abbiamo realizzato il cd, il vinile e le stampe di alcuni miei quadri associati ai versi delle canzoni.
La pittura è un altro tassello importante della mia vita. È una disciplina che vivo in modo liberatorio, dipingo con il corpo. Il movimento è l’elemento chiave, non mi piace intendere l’arte in modo statico. L’ arte è dinamica, in continua evoluzione, è figlia dei cambiamenti del tempo, della crescita di un artista, dei suoi pensieri, delle sue debolezze.
Oggi presenti il tuo nuovo disco (leggi la recensione qui). Ti confesso che la prima traccia, “Supereroi”, mi ha spinto ad andare avanti e ascoltare tutto l’album. Mi ha incuriosito perché ho trovato un mix di sonorità e generi che mi ha fatto chiedere: “Aspetta un attimo, che cavolo succede qua? Fammi capire chi è Gabriella Martinelli”. Poi, passando alla seconda traccia, ho trovato del rock e mi sono detto: “Devo ascoltare tutto l’album”. Ma poi succede qualcosa: il disco si trasforma, e sono rimasto spiazzato perché si evolve in maniera completamente differente, con un genere diverso. Trovo tanto pop, poche chitarre fuori, e sono rimasto un po’ confuso. Alla fine, sono arrivato alla traccia numero 10, “Topi in gabbia”, che è anche il motivo per cui ho voluto incontrarti, e ho pensato: “Questo pezzo spacca, per me è un singolo molto forte”. Quindi vedo una Gabriella Martinelli che è rock, non perché suona una “Telecaster”, ma perché lo è nell’animo, e al tempo stesso fa un disco con generi differenti. Cosa c’è dietro a una scelta artistica di questo tipo?
Allora, apprezzo molto ciò che dici per due motivi.
Prima di tutto perché per me il confronto è essenziale, e il tempo è estremamente prezioso. Quindi, il fatto che tu sia qui oggi, che tu abbia voluto incontrarmi, è di grande importanza per me. Ti ringrazio.
Fermarsi e cercare di capire, anche solo ponendosi delle domande, è, secondo me, un processo bellissimo.
La seconda ragione per cui sono contenta è che vedo realizzarsi esattamente ciò che volevo ottenere.
Volevo sorprendere, destabilizzare senza chiudermi in un solo colore. Ho avuto esperienze musicali in ambiti diversi: oltre a quello di cui abbiamo parlato su, ho lavorato nell’house, nella dance, sai che sono stata anche la voce di “MuccaAssassina”. Conosci l’evento ?
Sì, quell’evento in una discoteca a Roma.
Esatto, è proprio quello.
Una grande festa. Sono stata per diversi anni la vocalist di MuccaAssassina, esibendomi su musica house.
Mi vestivano come una principessa e mi bastava per sentirmi bella.
Ero la cantante di notte e la cantautrice di giorno.
È così che vivo, in modo molto libero. Siamo fatti di sfumature.
In questo disco ho mostrato tutti i miei colori. “Supereroi” e “Topi in gabbia” sono senza dubbio i pezzi più provocatori. Volevamo mantenere una coerenza sonora anche con il mio precedente lavoro discografico.
Dal vivo ci sono meno synth e più chitarre. Stasera lo proporremo in versione acustica, ma con la band al completo abbiamo un sound più rock, ci siamo un po’ trattenuti nel disco per poi esplodere nella performance live.
A questo punto, invito davvero tutti a vedere un tuo live con la full band per capire effettivamente come suonerà questo nuovo disco dal vivo.
La mia identità si riflette nella scrittura, dove dico esattamente quello che penso, sempre. La mia coerenza sta nella stessa poliedricità e mi annoio a fare le cose sempre allo stesso modo.
Adesso che me l’hai spiegato arriva assolutamente, ed è quello che effettivamente si sente nel disco. Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato e chi ha dato una svolta per essere Gabriella Martinelli oggi e che ti ha consentito di produrre “L’ amore è una scusa” ?
Sicuramente St. Vincent, Muse, Talking Heads, David Bowie, Cccp, Pink, Lucio Dalla esempio formidabile di sana follia e versatilità.
Il sound di questo disco è stato pensato anche con il mio produttore Paolo Mazziotti. Abbiamo voluto che ogni traccia avesse un suo vestito. Il risultato è un quadro di pittura astratta.
“L’ amore è una scusa” è un disco che parla dell’ amore. Com’ è nato questo disco ? Le canzoni che canti in questo album sono storie di vita reale o sono pensieri ?
L’ amore che fa da filo conduttore è una scusa per parlare di imperfezione, di luoghi comuni, di coraggio.
La scorsa estate sono scappata a Formentera dove ho vissuto e lavorato come Dj per tutta la stagione.
Avevo bisogno di stimoli e di scappare dalla città; probabilmente l’ amore è una scusa anche per scappare da noi stessi e dalla routine.
L’ isola che ha una magia incredibile, ha ispirato gran parte dei testi di questo mio nuovo disco.
Mi sono innamorata del suo mare, della natura, del cibo e ho raccolto tante storie. In questo album c’ è la mia pelle ma anche gli occhi degli altri. Le mie canzonarono lo specchio di quello che vivo ma anche uno sguardo collettivo che non mi lascia indifferente.
Credo che la musica possa promuovere battaglie. A volte si tratta di ecologia o di incisività, altre volte di amore nella sua eccezione più ampia o di abbattimento dei confini, degli stereotipi di genere.
La mia visione della vita ha a che fare con la resistenza e la capacità di rimettersi in gioco continuamente, vivendo da consapevoli e non da invisibili.
Quindi “L’ amore è una scusa” per.. ?
L’ amore è una scusa è il motore di tutto.
M’ innamoro di continuo…di quello che mangio, delle persone che incontro, dei posti in cui scappo, delle canzoni che ascolto.
M’ innamoro anche degli imprevisti perchè mi destabilizzano e mi muovono.
L’ amore è movimento, una scusa per sentirci vivi sempre.
Come canto nel disco, l’ amore è un giro al luna park, una cazzata speciale, una presa di coscienza, una vecchia foto, inostri genitori, il corpo che cambia.
L’ amore è una scusa per ritrovarci ancora, per sudare sotto un palco…è prendersi la libertà di fare schifo, di dire le cose come stanno, di scappare e di tornare, senza regole. E’ roba da Supereroi !
Quali sono i suggerimenti che daresti oggi ai giovani che vogliono approcciarsi al mondo della musica e che hanno il sogno di far diventare questa grande passione, tutta la loro vita ?
Vivere di musica è difficile ma non impossibile.
Ci vuole coraggio, bisogna sapersi mettere in gioco e quando serve anche in discussione.
E’ fondamentale studiare, essere curiosi, confrontarsi con gli altri, conoscere anche tutto quello che ruota attorno alla figura di un artista.
Un artista non può permettersi di fare il creativo e basta, neanche quando ha una squadra enorme a dargli supporto.
Suonate tanto, ovunque…per strada, su palchi piccoli ancor prima di cercare quelli grandi.
Siate determinati non innamoratevi troppo di quello che scrivete perchè le canzoni crescono con noi, cambia il punto di vista, l’ approccio alla vita prende un’ altra forma, siamo in continua evoluzione…per fortuna !
Abbiamo quasi finito ed ho un’ ultima domanda per te .Immagina di essere in una grande stanza della musica in cui hai tutti i dischi di tutto il mondo a disposizione ma ne puoi scegliere solo tre. quali scegli ?
“White album” dei Beatles, “Pollution” di Franco Battiato, “Com’ è profondo il mare” di Lucio Dalla.
Abbiamo finito. Gabriella, ti ringrazio, è stato un vero piacere.
Grazie a te!