Rats: dalle cover punk al successo nella musica rock italiana

L' intervista al frontman dei Rats. Wilko racconta l' ascesa della band, passando attraverso i primi concerti in Emilia, le aperture del tour di Vasco Rossi e il successo di "Indiani Padani" che li ha resi celebri nello scenario della musica rock italiana degli anni '90.
Foto: Nino Saetti

Ciao Wilko, benvenuto e grazie per averci dedicato del tempo. Partiamo dalle origini: com’è nata la tua passione per la musica e, in particolare, per il rock?

Ricordo ancora come se fosse ieri.

Era il 1978, uno di quei pomeriggi domenicali scanditi dal ritmo del programma cult di Renzo Arbore, “L’altra domenica”. All’improvviso, lo schermo si illumina con l’immagine di Michael Pergolani, inviata da Londra. Racconta di un nuovo fenomeno musicale che sta sconvolgendo l’Inghilterra: il punk.

Capelli colorati, creste ribelli, energia dirompente. Rimango letteralmente folgorato, tant’ è che il giorno dopo avevo già i capelli arancioni con sommo dispiacere per i miei genitori.

Quello mi ha fatto scattare la scintilla perchè vedo quei ragazzi sul palco, non certo virtuosi come Jimi Hendrix o Ritchie Blackmore, ma con una grinta e un’autenticità che mi conquistano all’istante.

Mi dissi, se possono farlo loro allora lo posso fare anch’io. La musica diventa la mia epifania, il mio modo di urlare al mondo le mie emozioni e le mie idee.

Tu già suonavi ?

Già a 7-8 anni strimpellavo la chitarra. I miei miti erano chitarristi “sanguigni” come Jimi Page e Paul Kossoff dei Free, amanti del rock crudo e potente.

L’arrivo del punk fu un’illuminazione perchè era l’apoteosi della musica “sanguigna”: tre accordi e tanta espressività. Era quello che cercavo, un modo per dare voce alle mie emozioni e idee da adolescente.

La musica divenne il mio strumento per comunicare ciò che avevo dentro. Il punk mi ispirò moltissimo, non solo per la musica ma anche per l’estetica e il messaggio del “fai da te”.

Ero talmente affascinato ad approfondire tutto ciò che stava dietro alla musica che obbligavo mio padre ad accompagnarmi a Modena per comprare i settimanali “New Musical Express” e “Melody Maker”, dove leggevo sulle band punk.

A Spilamberto, un paese di 10.000 anime, trovai altri ragazzi appassionati come me e nacque così la band “Sextons”, con cui facevamo cover di Sex Pistols, The Stranglers, Ramones e altri.

Come spesso accade, i Sextones si sciolsero e rimasi con con il bassista. Trovammo un nuovo batterista e la cantante Claudia Baracchi. Fu in quel periodo che assumemmo i nostri soprannomi attuali.

Perchè il nome Wilko ?

Come ti dicevo, il punk mi aprì le porte a un mondo musicale nuovo e rivoluzionario.

Tra le band che mi conquistarono ci furono i Dr. Feelgood, con il loro chitarrista Wilko Johnson.

Il suo stile dirompente e la sua carica esplosiva mi folgorarono. Fu così che i miei compagni di band mi soprannominarono Wilko, un tributo al mio idolo punk e un segno della mia nuova identità musicale.

Quindi tu eri il chitarrista di questa band in cui come cantante c’era una donna. Da lì cosa accade?

Il punk, che aveva acceso la mia passione musicale, stava evolvendosi in generi nuovi come post-punk, new wave, dark e gothic rock.

Insieme alla mia band, composta da “Franz” al basso, “Leo” alla batteria e Claudia Lloyd (Claudia Baracchi) alla voce, iniziammo a comporre brani originali, abbandonando le cover.

Con il manager Sergio Capone, un ragazzo di Carpi, riuscimmo ad ottenere una data allo “Small” di Pieve di Cento, un locale leggendario per la scena musicale new wave italiana e internazionale. 

Ti ricordi più o meno l’ anno ?

Era il 1980.

Come và quella data ?

Era una domenica pomeriggio quando salimmo sul palco dello Small di Pieve di Cento.

Tra il pubblico, c’era una figura iconica della musica italiana: Red Ronnie, pronto a fare il suo DJ set dopo il nostro concerto. 

Red Ronnie, inizialmente incuriosito, rimase folgorato dalla nostra musica.

Non aveva capito che fossimo una band italiana e che cantavamo nella nostra lingua madre.

Lui, generalmente poco incline a promuovere band italiane che riproponevano generi di tradizione anglosassone, era piacevolmente sorpreso dalla nostra autenticità.

Un aneddoto significativo. Solo dopo il terzo o quarto brano, Red Ronnie si accorse che cantavamo in italiano. 

Rats – 1989

Come giustificò il fatto di non aver capito che stavate cantando in italiano ?

Red Ronnie, spiegò che la musica, le melodie e le liriche fluivano così naturalmente che non si era accorto che cantavamo in italiano. 

Tra il pubblico c’era anche Oderso Rubini, fondatore della Italian Records, l’etichetta che avrebbe lanciato i Gaznevada nel mondo con l’Italo Disco.

Red Ronnie, convinto del nostro talento, lo esortò a firmare un contratto con noi e a produrre un disco.

Rubini, però, non dimostrò grande interesse, ritenendo il nostro stile non in linea con la sua etichetta.

Di fronte al rifiuto di Rubini, Red Ronnie decise di prendere in mano la situazione.

Fondò la “Nice Label”, un’etichetta discografica che avrebbe utilizzato i canali distributivi della Italian Records. La Nice Label sarebbe diventata la nostra casa discografica, dandoci l’opportunità di realizzare il nostro sogno.

Quindi fu proprio Red Ronnie a produrre il disco?

Sì lui disse proprio: “ Il disco lo pago io” , così nel 1981, il nostro disco vide finalmente la luce.

Grazie alla distribuzione di “Ricordi” in Italia e di “Rough Trade”, un’etichetta di riferimento per la new wave, in Europa (Belgio, Olanda, Germania) distribuito da Ariola, la nostra musica iniziò a varcare i confini nazionali. 

Un colpo di fortuna ci portò ancora più lontano: il disco arrivò nelle mani di John Peel, leggendario DJ della BBC Radio 1.

Peel, affascinato dalla nostra musica originale e dalla nostra energia, decise di trasmettere il nostro album in radio.

La sua influenza sulla scena musicale britannica era immensa, e grazie a lui la nostra musica raggiunse un pubblico ancora più ampio e conquistò consensi anche in Inghilterra.

Puoi quindi affermare che Red Ronnie è stata la prima persona che ha visto in voi qualcosa di buono?

Senza dubbio, Red Ronnie è stato la figura chiave che ha dato il via al nostro successo.

Il suo fiuto per il talento lo ha portato a scorgere in noi un potenziale che altri non avevano visto. Grazie a lui, siamo riusciti a uscire dai confini della provincia di Modena.

A quel tempo, il nome della band era già “Rats”. Perché quel nome?

Un nome semplice e provocatorio.

La scelta del nome “Rats” non fu casuale. Volevamo un nome che fosse breve, facile da ricordare e che avesse un impatto immediato.

Inoltre, un pizzico di provocazione non guastava: “Rats” (“ratti”) in inglese ha un suono un po’ duro e urtante, che rifletteva lo spirito ribelle e anticonformista del Punk.

Semplicemente, ci piaceva come suonava e come rappresentava la nostra attitudine musicale.

Titolo dell’ album ?

“C’ est Disco” . Erano nove brani, una via di mezzo tra un EP e un album.

Come si evolve questa avventura?

Grazie al successo del nostro primo disco, iniziammo a suonare in giro per l’Italia, partecipando a festival importanti come l’ “Electra 1”, dove dividemmo il palco con artisti del calibro di Bauhaus, The Lounge Lizards, nomi di grande rilevanza nel panorama musicale dell’epoca. 

L’entusiasmo ci spinse a registrare il nostro secondo album.

Purtroppo, per ragioni che ancora oggi non ci sono del tutto chiare, l’album non vide mai la luce. 

Sempre prodotto da Red Ronnie?

Sì, Red Ronnie era ancora una volta al nostro fianco nella produzione del secondo album.

Solo nel 2023, ben 41 anni dopo la sua registrazione, il secondo album dei Rats ha finalmente visto la luce.

Pubblicato su vinile, ha ricevuto recensioni entusiastiche dalla critica e dai fan, dimostrando la sua incredibile attualità e il suo valore musicale.

La mancata pubblicazione del secondo album nel 1982 e la successiva uscita di Claudia dalla band segnarono la fine di ciclo perchè la band si ritrovò senza cantante e dovette affrontare un periodo di incertezza sul proprio futuro.

Cercate immediatamente un sostituto?

Ci mettemmo alla ricerca di un nuovo cantante che potesse dare nuova linfa alla nostra musica.

Tuttavia, la ricerca si rivelò ardua: non riuscivamo a trovare nessuno che ci convincesse appieno e che potesse integrarsi perfettamente con la nostra visione artistica.

Di fronte a questa impasse, gli altri ragazzi della band dissero: “Tu scrivi i pezzi e anche i testi, adesso cantali”.

Inizialmente titubante, non essendo mai stato un cantante vero e proprio, decisi di accettare la sfida. Con il tempo, presi dimestichezza con il ruolo di frontman e scoprii un nuovo piacere nel cantare le mie canzoni.

Firmiamo così un contratto con un’etichetta indipendente, riuscimmo a realizzare un EP con quattro brani.

La produzione fu affidata a Federico Guglielmi, figura di spicco nel panorama indie rock dell’epoca e autore per riviste come “Mucchio Selvaggio”.

L’EP ricevette recensioni positive e ci permise di rientrare in studio per registrare nuovo materiale.

Una serie di concerti di rilievo e apparizioni televisive su Rai (con artisti del calibro di Litfiba, CCCP e Gang) contribuirono a rilanciare la nostra immagine e a consolidare la nostra posizione sulla scena musicale italiana.

Rats

Giunti a questi livelli, riuscivate a vivere solo di musica?

Il 1989 rappresentò un anno di svolta per i Rats.

La pubblicazione dell’ LP “Rats” con la Hiara Records diede il via a un tour che ci portò ad esibirci in giro per l’Italia e, soprattutto, in Russia al fianco di band iconiche come CCCP e Litfiba.

Tuttavia, il bassista Franz decise di andarsene proprio durante le registrazioni di “Rats”.

Per affrontare il tour in Russia, trovammo un sostituto temporaneo in Gabriele Pedrini, il quale però ci aveva già comunicato che la sua permanenza sarebbe stata limitata a quel solo tour.

Rimanete senza bassista e vi mettete a cercare il sostituto ?

E’ stata una di quelle folgorazioni che ti capitano una volta nella vita.

Durante un concerto a Bologna, il gruppo che ci apriva il nostro live, gli A.c.t.h. , aveva un bassista che mi ha subito stregato.

Aveva quell’attitudine da rocker puro, un atteggiamento alla Paul Simon dei The Clash, e ho pensato subito: “Lui è il bassista che fa per noi!”.

Appena finito il soundcheck, non ho resistito e l’ho avvicinato.

Gli ho detto senza mezzi termini: “Tu dovresti suonare il basso con noi!”.

Lui disse che aveva bisogno di rifletterci ma, allo stesso tempo io avevo fretta di trovare un sostituto e gli ho dato un ultimatum: “Dopo il tour in Russia mi devi dare una risposta!”.

Al mio ritorno è arrivata la sua chiamata: “Ok, ci sono!” furono le sue parole.

“Romi” ha mollato gli A.c.t.h. e si è unito ai Rats, diventando il nostro bassista ufficiale. 

Raccontami come avete incontrato “Lor” , il vostro batterista.

“Lor” è entrato a far parte dei Rats in un modo davvero fulminante.

Aveva solo 19 anni, ma era già un batterista eccezionale. Lo conoscevo da tempo, abitavamo nello stesso paese e avevo avuto modo di apprezzare il suo talento in diverse occasioni.

Alla fine del 1989, ricordo ancora la scena come se fosse ieri.

Lor arrivò in macchina e scese. Non gli diedi nemmeno il tempo di attraversare la strada, lo intercettai a metà strada e gli dissi senza mezzi termini: “Tu vieni a suonare con noi!”.

Lui mi guardò con un sorriso e rispose semplicemente: “Sì!”.

È stata una conversazione lampo, durata pochi secondi, ma da quel momento Lor è diventato parte integrante della nostra band. 

Con l’arrivo di Romi e Lor, la formazione dei Rats era finalmente al completo. Cosa è accaduto dopo?

Il 1989 segnò un nuovo capitolo per i Rats.

Con la formazione finalmente completa, composta da me alla chitarra e voce, Romi al basso e Lor alla batteria, ci siamo immersi anima e corpo nella musica.

Cominciammo a chiuderci in sala prove per scrivere nuovi brani e a dare vita a un nuovo sound.

In poco tempo avevamo già composto una ventina di pezzi che ci sembravano davvero convincenti. Così decidemmo di registrare un demo da fare ascoltare ai discografici. 

Wilko, la tua storia ci riporta indietro nel tempo, a un’epoca in cui produrre musica era un processo molto diverso rispetto ad oggi. Per i più giovani che leggeranno questa intervista, forse è difficile immaginare le sfide che avete dovuto affrontare per registrare il vostro demo. Puoi raccontarci com’è stato per voi, in quella fine degli anni ’80, quando la tecnologia non era così accessibile come oggi e i costi di produzione erano decisamente più alti ?

Oggi, con la tecnologia a disposizione e i costi decisamente inferiori, è possibile produrre un disco in tempi relativamente brevi. Ma a fine degli anni ’80, le cose erano ben diverse.

Noi eravamo comunque fortunati perchè la nostra sala prove a Sassuolo era ben attrezzata attrezzata con un mixer e un registratore 16 tracce a bobine. Avevamo a disposizione tutto il necessario per creare un demo di qualità.

Girate quindi per le etichette discografiche a far sentire il demo ?

Sì volevamo fare ascoltare i nostri brani a più gente possibile in modo tale da avere feedback differenti.

Era il 1990 e ricordo che Gianni Maroccolo che in quel momento era appena uscito dai Litfiba, appena sentì i pezzi disse.: “Questo disco spacca”.

Avevamo un manager, Umberto Zini che aveva le conoscenze giuste con le etichette quindi era lui che contattava i discografici. In realtà la prima etichetta fu contattata da Luciano Ligabue.

Fermiamoci un attimo. Come conoscevate Ligabue ?

Il nostro incontro con Luciano Ligabue è avvenuto in un periodo in cui lui non era ancora la star che conosciamo oggi.

Noi avevamo già pubblicato un paio di album.

Luciano, in quel periodo, muoveva i suoi primi passi nel mondo della musica e ci aveva organizzato alcuni concerti.

Aveva comprato i nostri dischi e gli stavamo simpatici, così ci capitava spesso di vederlo in sala prove.

Un giorno, Luciano arrivò da noi con un pezzo in mano.

Ci disse che lo aveva scritto tempo prima, ma che non era mai riuscito a dargli una forma che lo soddisfacesse.

Era convinto, però, che fosse perfetto per noi e che avremmo potuto cantarlo insieme.

Era il 1992, e Luciano era già uscito con il suo secondo album, quindi aveva già una certa fama.

L’idea di un featuring con lui era molto interessante per noi, perché poteva dare una spinta importante alla nostra carriera.

Il pezzo in questione era “Fuoritempo”. 

Rats – Fuoritempo (live)

Come và la presentazione del vostro demo da parte di Ligabue alla WEA ?

Luciano si presentò alla sua etichetta discografica, la Wea.

Era convinto del potenziale del brano e desiderava farlo con noi.

Purtroppo, il direttore artistico della Wea non la pensava allo stesso modo. Aveva già in casa un Ligabue con sonorità simili alle nostre e non voleva avere in casa dei potenziali concorrenti.

Di fronte a questo rifiuto, decidemmo di proporre il brano ad un’altra etichetta, la CGD.

Lì, le cose andarono decisamente meglio.

Appena ascoltarono i brani, rimasero subito entusiasti e ci proposero un pre-contratto per assicurarsi che non andassimo a firmare con qualcun’ altro.

A gennaio del 1991 firmammo ufficialmente con la CGD, e a ottobre del 1992 uscì il nostro album “Indiani Padani”, con “Fuoritempo” come singolo di lancio.

L’accoglienza del pubblico fu straordinaria.

Già nella prima settimana, l’album vendette diecimila copie, un risultato davvero inaspettato.

Ma il vero successo arrivò a marzo del 1993 con l’uscita del singolo “Chiara”.

Rats – Chiara (Official Video)

La canzone esplose in radio e televisione, diventando un vero e proprio tormentone estivo. Da quel momento, la nostra carriera prese letteralmente il volo.

Ricordo che il video di “Chiara” era trasmesso giorno e notte da “Video Music” ed era programmato da tutte le radio, lo sentivi ovunque.

Hai proprio ragione, “Chiara” era davvero onnipresente.

Lo trasmettevano ininterrottamente su “Video Music” e lo sentivi ovunque accendessi la radio. In quel periodo eravamo in tour ad era diventato quasi insopportabile da tanto che si sentiva quel pezzo.

C’è molta curiosità intorno alla figura di Chiara, la protagonista del vostro brano omonimo. È un personaggio reale o frutto della vostra immaginazione?

In realtà, Chiara non è un personaggio reale.

Non esiste una donna con questo nome che abbia ispirato la nostra canzone. Come spesso accade nei nostri testi, amiamo utilizzare figure immaginarie per raccontare storie reali e trasmettere emozioni.

Credo che la vostra musica è stata apprezzata oltre che per le sonorità, anche per la sua autentica capacità di rispecchiare la realtà quotidiana dei giovani di quel tempo. Quanto c’ è di vero nelle vostre canzoni ?

La musica dei Rats si è sempre contraddistinta per la sua aderenza alla realtà.

Ci piace raccontare storie vere, di vita vissuta, che possano risuonare nelle vite di chi ci ascolta.

In questo senso, molte delle nostre canzoni erano ispirate a fatti realmente accaduti, a persone che conoscevamo o a esperienze che avevamo vissuto in prima persona.

“Wally”, ad esempio, è una figura iconica che rappresentava un tipo di personaggio molto diffuso negli anni ’80: il trascinatore del gruppo, colui che aveva sempre l’idea giusta e che sapeva come far divertire gli altri.

Rats – Cover Album – Indiani Padani

Nelle vostre canzoni utilizzate spesso nomi di persone. Sono nomi di fantasia ispirati a persone reali che avete conosciuto?

Assolutamente sì.

Le nostre canzoni sono spesso ispirate a persone reali che abbiamo conosciuto e vissuto.

C’è sempre un pezzo di verità in quello che raccontiamo, anche quando i nomi sono inventati.

Ci sono storie di droga che ho raccontato, perchè nella mia generazione ho perso molte persone a causa dell’ eroina. Ad esempio, in ‘Jonny Scarafaggio’ racconto la storia di uno che conoscevo veramente. 

Come sono nate le canzoni di ‘Indiani Padani’? C’era un metodo di scrittura e composizione ben definito o era un processo più spontaneo e collaborativo?

Assolutamente, era un processo molto collaborativo.

Ci ritrovavamo in sala prova con un’idea, magari una melodia o un testo abbozzato, e poi la sviluppavamo insieme.

C’era un grande scambio di idee e ognuno di noi contribuiva con la propria sensibilità e il proprio talento.

Alessandro Bigarelli, in particolare, è stato un grande compagno di scrittura.

Insieme abbiamo dato vita a molte delle canzoni di ‘Indiani Padani’.

Ogni canzone è nata da un’idea, da un’emozione, da un vissuto, e poi è stata plasmata dalle nostre mani, dalle nostre voci e dai nostri strumenti.”

In ‘Indiani Padani’, tra i brani più ‘tirati’, spicca la ballata ‘Diciamocelo davvero’. Qual è il significato profondo di questa canzone? 

“Diciamocelo davvero” è una canzone che parla di sincerità, anche di fronte a un errore o a un tradimento.

È un brano in cui mi metto a nudo, ammettendo le mie colpe e chiedendo perdono.

Non è un vanto aver tradito, ma è comunque un modo per dire che ho sbagliato e che mi pento sinceramente. La richiesta di indulgenza è un atto di umiltà, un modo per chiedere di essere perdonato nonostante tutto. 

Com’è stata articolata la promozione di ‘Indiani Padani’? Oltre ai concerti in giro per l’Italia, avete utilizzato altre strategie promozionali? 

Abbiamo girato l’Italia in lungo e in largo con il nostro furgone, suonando davvero ovunque.

La partecipazione al tour di Vasco Rossi “Gli spari sopra” è stata la ciliegina sulla torta.

Aprire per un artista così grande ci ha dato molta visibilità e ci ha permesso di far conoscere la nostra musica a un pubblico ancora più vasto. 

Mentre sentivi le canzoni dei Rats alla radio, la passione dei fan ai concerti e il momento elettrizzante in cui la folla ha applaudito all’unisono per ‘Chiara’ all’apertura del concerto di Vasco, quali emozioni hai provato durante il tuo viaggio come musicista? Come il raggiungimento del tuo sogno di suonare musica professionalmente ha plasmato la tua prospettiva sulla vita e sull’arte?

È un sentimento di immensa gratitudine che porto ancora con me oggi.

Riempire il ‘Vox’ due anni fa con fan che ci seguono ancora è un vero regalo.

Sai, ci stiamo solo divertendo ora, non prendendolo così sul serio come facevamo all’epoca.

Lo facciamo perché non possiamo fare a meno di farlo. Lo facciamo perché probabilmente continueremo a farlo finché non saremo più in grado di farlo fisicamente.

Sono grato alla vita perché mi ha permesso, anche per un breve periodo, di realizzare un sogno.

Perché nell’arte non si tratta di obiettivi, si tratta di sogni, perché nell’arte è il cuore e l’anima che vengono toccati, non la mente.

Quando riesci a toccare il cuore delle persone, allora è quando accade la magia, ed è esattamente quello che è successo ai Rats.

Rats – Wally live Vox 07.11.2008

Freschi del successo di “Indiani Padani” e finito il tour, immagino che vi siate rimessi in studio per scrivere il nuovo album: è così ?

In realtà il secondo album lo abbiamo scritto in tour, anche perchè a livello contrattuale saremmo dovuti uscire dopo due anni con il secondo disco e avevamo poco tempo.

Addirittura provavamo i pezzi del nuovo album durante il soundcheck dei concerti.

Alessandro Bigarelli ha avuto un ruolo cruciale in questo album perchè c’ è una sua maggiore collaborazione. Le registrazione le abbiamo fatte alla Maison Blanche e il mix alla Fonoprint.

Esce il disco e cosa accade ?

Ricordo la prima intervista fu a RTL.

Ci chiamano e noi avevamo i primi cellulari, sai quelli in cui la batteria durava mezzo’ ora  e c’ era ancora la cornetta.

La prima domanda di chi stava conducendo la trasmissione fu: “Ciao Wilko, allora come la mettiamo adesso che non c’ è Luciano ? Io ho riagganciato immediatamente…cioè, che cazzo di domanda è ? 

Sicuramente una domanda di provocazione per fare audience e non per interesse verso il vostro disco.

Esatto.

Rats – Belli e Dannati live @ Vox 2008

Torniamo a “Belli e dannati” che è un’evoluzione di “Indiani Padani” sia dal punto di vista della composizione che delle sonorità.

“Indiani Padani” è stato un disco molto viscerale e istintivo.

Con “Belli e dannati” abbiamo cercato di evolverci, di andare più in profondità sia nella composizione che nelle sonorità.

È un album più interiorizzato, più riflessivo. Purtroppo, quando è uscito, non ha avuto il successo che speravamo. Non è riuscito a replicare l’onda di “Indiani Padani”.

Perché?

Quando cambiano le persone ai vertici, purtroppo, possono cambiare anche i destini di chi è vicino a questi personaggi.

Vorresti dire che cambiò qualcuno in CGD?

Sì, il presidente che ci aveva firmato andò via.

E chi arrivò?

Arrivò quello che ci aveva detto di no alla WEA.

Ho capito, quindi non investe su di voi.

Non solo non investe su di noi, ma deve anche fare in modo che il suo “no” di allora non sembri un errore di valutazione.

Noi avevamo avuto successo con un’altra etichetta, e lui ci vedeva come un dito nell’occhio perché rappresentavamo il suo sbaglio professionale.

Rats – Video “La Vertigine del Mondo”

Quindi blocca completamente l’evoluzione dei Rats.

Esatto. Facciamo comunque un tour e la gente ai concerti veniva, il seguito c’era, ma a livello mediatico non avevamo supporto.

Come ben sai, le cose funzionano quando chi ti supporta pianifica una comunicazione coerente con la promozione del disco.

“Indiani Padani” ha avuto sette singoli estratti dall’album!

Queste cose non accadono perché un direttore artistico o chi programma i palinsesti radiofonici si innamora di un artista, ma perché ci sono accordi tra case discografiche e media.

Ovviamente il prodotto deve essere valido, e “Belli e dannati” era un prodotto che avrebbe potuto fare bei numeri, considerando che da solo ha venduto comunque 30 mila copie.

A questo punto cosa fate, uscite dalla CGD?

Per obbligo contrattuale dovevamo fare tre album e ne mancava uno.

Così esce “La vertigine del mondo”.

È un disco che registriamo dal vivo senza pubblico: prendiamo in affitto il teatro comunale di Casalmaggiore, in provincia di Cremona.

Stiamo lì due settimane, dormiamo lì e lo registriamo. Il disco esce, ma ovviamente non viene spinto per i motivi che ti ho raccontato prima. Tuttavia, vende comunque 18 mila copie.

Rats – Cover album – La Vertigine del Mondo

Era il 1996. Chiuso il contratto con la CGD cosa fate?

Noi continuiamo a suonare e avevamo già cominciato a proporre del materiale con dei nuovi provini fino ad arrivare verso la fine degli anni ’90, momenti in cui il genere di quel periodo comincia a modificarsi per poi lasciare spazio all’ingresso prepotente dell’elettronica.

Decidete di fermarvi ?

È stato un processo naturale, nel senso che non c’era nemmeno più la possibilità.

Probabilmente anche noi stessi avevamo già capito che quello che stavamo proponendo sarebbe rimasto in quel momento di nicchia, perché il nostro genere non “tirava” più.

Poi Romi si è trasferito a Miami, dove vive tuttora, e ha intrapreso una carriera lavorativa differente.

Io ho suonato per un paio di anni in questo super gruppo chiamato “Mega Jam 5”, insieme a Max Cottafavi alla chitarra, Graziano Romani alla voce, Briegel (Ritmo Tribale) al basso e Lor alla batteria.

Abbiamo fatto almeno 200 concerti tra il 1997 e il 1999, proponendo tutti i classici della musica rock, dai Led Zeppelin a Springsteen, dai Beatles ecc.

Quindi i Rats si sciolgono ?

Si fermano. Decidono di fermarsi.

Però arriva un’ altro disco.

Sì nel 2013.

Tutto nasce dalla reunion del 2008. Siamo stati dieci anni senza salire sul palco insieme.

Però la vostra amicizia non è mai finita.

Certo, ci sentivamo ma ognuno aveva le proprie vite.

Però accade qualcosa. Me lo racconti ?

Accade che all’epoca di Myspace io e Romi apriamo i nostri profili e i fan cominciano a scriverci, chiedendoci dove eravamo finiti, che progetti avevamo e perché non tornavamo a suonare insieme.

Così ci viene l’idea di fare una data, un unico concerto al Vox di Nonantola.

Quel giorno del 2008 c’erano tutti e il locale era sold out.

Per quel giorno registrammo il concerto e producemmo un DVD di sole 150 copie che vendemmo in pochissimo tempo.

Visto quel successo ci viene voglia di suonare ancora e così cominciammo a fare altre date un po’ in giro per l’Italia, ma ci volevano dei pezzi nuovi perché noi proponevamo i brani dei tre album fino al ’96.

Io in quel momento ero in un periodo della mia vita in cui stavo scrivendo parecchio perché la mia vita stava cambiando drasticamente, mi stavo separando, e quindi quello che è diventato “Siete in attesa di essere collegati con l’inferno desiderato” è proprio frutto di quel periodo.

Quel disco è molto personale mi stai dicendo?

È un disco che ho scritto praticamente quasi solo, i testi li ho scritti tutti io.

Poi le idee sono state finalizzate insieme, ma l’ossatura dei brani è nata principalmente dalla mia fase di separazione con mia moglie.

Di fatto, molti, sia i fan, sia il nostro pubblico, sia anche chi l’ha recensito sul web, l’hanno definito un po’ il disco della maturità.

È il disco che smette ovviamente di esplorare quelle che sono le turbe della gioventù e esplora molto profondamente quelle che sono le turbe degli adulti.

Perché nel frattempo noi siamo diventati adulti.

Dove l’avete registrato?

Allora, il disco l’abbiamo registrato nel vecchio studio di Luciano Ligabue, a Correggio, e l’abbiamo mixato a Imperia, al “Ithil World” .

È stato mixato da Giovanni Nebbia, che per me è un fonico di mixing e di mastering spaventoso.

Infatti devo dire che questo disco suona come un disco “non italiano”.

Sì, è un disco molto internazionale.

Grazie a Bagana, l’etichetta che ha prodotto il disco, abbiamo fatto delle bellissime cose.

Tra queste, l’album stesso, la ristampa per il trentesimo anniversario, e siamo riusciti ad avere i diritti per “Indiani Padani”.

Inoltre, abbiamo realizzato un doppio live in vinile in edizione limitata, registrato all’ultimo concerto al Vox del 22 novembre 2022.

Rats live

Arriviamo ad oggi. Fra due giorni, tra l’altro, suonerete di nuovo insieme. State lavorando ad altre cose?

Non lo so assolutamente. Il palco è sicuramente il luogo in cui ci piace di più incontrarci.

Dal vivo siete voi tre o ci sono altri musicisti che vi accompagnano?

Oltre a noi tre ci sono Leonardi alla chitarra e ovviamente Chris Di Mezzo alle tastiere, che aveva già suonato in “Indiani Padani”.

Ora ti chiedo di pensare al giorno d’oggi e a quello che sta accadendo nella musica. Che suggerimento daresti a un ragazzo che vuole cominciare a fare musica e che ha il sogno, come tu lo avevi da ragazzino quando vedesti per la prima volta il movimento Punk in Inghilterra, di poter vivere della passione per la musica?

Oggi la musica è fugace.

Un artista, un singolo, un brano viene succhiato, spremuto e in tre mesi viene gettato per fare spazio al nuovo.

La musica oggi è un sottofondo mentre stai facendo altre cose.

Detto ciò, io vado controcorrente perché tutti quelli della mia età dicono che adesso non vale più la pena, dicono di lasciar perdere perché tanto non c’è speranza.

Tanto è tutto determinato dal potere dei gruppi editoriali che a loro volta si rivolgono ai gruppi di autori che sono sempre quelli, gli stessi autori dei 20 pezzi su 25 di Sanremo.

Perché c’è molto interesse a livello editoriale: la musica è diventata più un contorno per vendere qualcos’altro, come ad esempio un sottofondo di uno spot pubblicitario.

Non ha più l’importanza a livello umano che aveva prima. Fare musica come lo facevamo noi ai nostri tempi, secondo molti della mia età, non ha più senso e non c’è più spazio.

Ma il mio consiglio per un giovane che sogna di vivere di musica è questo: non ascoltare i cinici.

Se hai passione, segui il tuo istinto e fai la tua musica.

La strada sarà difficile, ma se credi davvero in quello che fai, troverai il tuo pubblico.

La musica ha sempre avuto il potere di connettere le persone e questo non cambierà mai, indipendentemente dai cambiamenti nel mercato o nelle tendenze.

Tu cosa credi?

Voglio citare due frasi punk, perché quelle sono le mie origini, sono quello che sono sempre stato, anche se a volte sono sembrato diverso, ed è come morirò.

La prima è nostrana, dal film Kissing Gorbachev, che racconta la storia del nostro tour in Russia nel ’89.

La frase è: “Osare l’impossibile”.

La seconda è di Joe Strummer: “Il futuro non è scritto”.

Non puoi prevedere niente, non puoi dire che non ne vale la pena, perché quello che sta accadendo qui e ora potrebbe non essere più così domani.

Se hai la passione e l’anima per fare musica, fottitene dei like, delle views, del risultato che ottieni. Fai quello che ti senti e vai avanti per la tua strada.

È un concetto che spero darà positività e speranza a chi leggerà l’ intervista.

Fortunatamente, ho il piacere di parlare con tante persone di tutte le età, anche giovani che stanno tirando fuori le chitarre e che si trovano nelle sale prove a suonare come facevamo noi una volta, che non usano l’ autotune e addirittura non lo vogliono sentire nominare.

Il rock ’n’ roll è destinato a ritornare, ne sono certo.

Abbiamo finito. Grazie Wilko, è stata una bellissima chiacchierata ci vediamo al concerto mercoledì.

Grazie a te.

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