
Era il 1968, e i quattro ragazzi di Liverpool che avevano conquistato il mondo stavano vivendo il momento più turbolento della loro carriera. Il White Album non è solo un disco: è il ritratto sonoro di una band sull’orlo del precipizio, di quattro individualità creative che stavano imparando a camminare da sole, anche se ancora sotto lo stesso nome.
Il Ritorno dall’Oriente: Semi di Creatività e Discordia
La storia di questo album leggendario inizia molto prima delle prime note registrate negli studi di Abbey Road. Inizia nelle terre mistiche dell’India, nell’ashram del Maharishi a Rishikesh, dove i Beatles si erano ritirati all’inizio del 1968 per esplorare la meditazione trascendentale e, involontariamente, se stessi come artisti e come persone.
L’esperienza indiana fu trasformativa in modi che nessuno di loro avrebbe potuto prevedere. Lontani dal clamore della Beatlemania, senza elettricità, con solo le loro chitarre acustiche e un tempo infinito a disposizione, i quattro musicisti riscoprirono l’essenza pura del comporre. La serenità del luogo e l’assenza di distrazioni tecnologiche li costrinse a tornare alle radici, affinando le loro competenze con le chitarre acustiche e imparando da Donovan – altro pellegrino spirituale dell’ashram – la delicata tecnica del finger-picking che avrebbe caratterizzato molti brani del futuro album.
Ma l’India fece molto di più che insegnare loro nuove tecniche musicali: liberò la loro creatività in modo esplosivo. Quando tornarono in Inghilterra, avevano con sé un tesoro di oltre trenta nuove composizioni, un arsenale creativo che testimoniava quanto fertile fosse stato quel periodo di ritiro. Era maggio del 1968 quando si ritrovarono nella casa di George Harrison a Esher, nel Surrey, con un registratore Ampex a quattro piste, per immortalare in quelli che sarebbero stati chiamati i “Kinfauns Demo” o “The Esher Session” le prime versioni grezze delle loro nuove creazioni.
Lo Scontro delle Visioni
George Martin, il produttore che li aveva guidati attraverso i loro capolavori precedenti, guardò questa montagna di materiale con occhio critico e preoccupato. La sua opinione fu netta e decisa: un album singolo di alta qualità sarebbe stata la scelta vincente. Un doppio album sembrava eccessivo, dispersivo, potenzialmente controproducente.
Ma i Beatles del 1968 non erano più i ragazzi obbedienti che seguivano i consigli del loro “quinto Beatle”. Erano artisti maturi, ognuno con una visione precisa di dove voleva andare, e quella visione includeva necessariamente un doppio album. Il 30 maggio 1968, nonostante le riserve di Martin, iniziarono le registrazioni di quello che sarebbe diventato il loro lavoro più ambizioso e divisivo.
Quello che accadde negli studi di registrazione tra maggio e ottobre del 1968 fu qualcosa di unico nella storia della musica popolare: invece di un lavoro corale, nacque un’opera di “solisti, di tanti ego separati in lotta per la preminenza”. Il White Album divenne il riflesso sonoro delle tensioni che stavano lacerando il gruppo dall’interno.
Il Teatro del Conflitto
Gli studi di Abbey Road, che per anni erano stati il regno magico dove nascevano i miracoli musicali dei Beatles, si trasformarono in un campo di battaglia creativo. John Lennon, Paul McCartney e George Harrison iniziarono a lavorare sempre più spesso separatamente, usando gli altri membri come semplici musicisti di supporto o, in alcuni casi, registrando in completa solitudine tutte le parti vocali e strumentali dei loro brani.
L’atmosfera divenne così tesa che iniziarono gli abbandoni. Il primo a cedere fu Geoff Emerick, il tecnico del suono che aveva contribuito alla magia di “Revolver” e “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”.
Dopo meno di due mesi dall’inizio delle registrazioni, Emerick si licenziò, esausto dai continui litigi e dall’atmosfera velenosa che si respirava negli studi.
Anche George Martin, il paziente produttore che aveva sempre fatto da mediatore tra le diverse personalità del gruppo, raggiunse il punto di rottura. In un gesto senza precedenti, lasciò gli studi e se ne andò in vacanza, abbandonando momentaneamente i suoi “ragazzi” al loro destino creativo.
Il momento più drammatico arrivò il 22 agosto, quando anche Ringo Starr, tradizionalmente il più pacifico e diplomatico del gruppo, raggiunse il limite della sopportazione. Esausto e demotivato, il batterista abbandonò le registrazioni e portò la famiglia in vacanza in Sardegna, lasciando i suoi compagni di banda a chiedersi se i Beatles esistessero ancora come entità musicale.
Durante l’assenza di Ringo, fu Paul McCartney a sedersi dietro la batteria per completare “Back in the U.S.S.R.” e “Dear Prudence”, dimostrando ancora una volta la sua versatilità strumentale ma sottolineando quanto precaria fosse diventata la situazione del gruppo.
Il Ritorno e la Riconciliazione
Il 3 settembre 1968, Ringo Starr rientrò negli studi di Abbey Road, e quello che trovò fu un gesto che rivelava quanto, nonostante tutto, i legami tra i quattro fossero ancora solidi. Mal Evans, loro fedele roadie, aveva decorato la batteria con festoni di fiori e la scritta “Bentornato Ringo”. Era un segno di gratitudine e sollievo che andava oltre le parole, un riconoscimento del fatto che, nonostante le tensioni, i Beatles rimanevano una famiglia musicale.
Le sessioni di registrazione e mixaggio continuarono, e quando finalmente arrivò il momento di organizzare la sequenza delle tracce, John Lennon e Paul McCartney trascorsero ventiquattro ore intense a decidere come presentare al mondo questo caleidoscopio sonoro. La loro soluzione fu tanto geniale quanto riflettente lo stato del gruppo: concentrarono i brani hard rock nella terza facciata, raggrupparono nella seconda le canzoni che avevano a che fare con animali, sparpagliarono le composizioni di George Harrison nelle quattro facciate e utilizzarono dissolvenze incrociate per creare continuità dove l’unità creativa si era frammentata.
Il Minimalismo Rivoluzionario
Reduci dal trionfo psichedelico di “Sgt. Pepper”, i Beatles si interrogarono su quale direzione prendere per la presentazione visiva del loro nuovo lavoro. Come potevano sorprendere ancora i fan dopo il fantasioso collage della copertina precedente?
La risposta arrivò dall’artista Richard Hamilton, interpellato tramite Robert Fraser. Hamilton propose qualcosa di rivoluzionario nella sua semplicità: un titolo essenziale, “The Beatles”, e una copertina completamente bianca con solo il titolo in rilievo. Era una scelta agli antipodi del precedente album, un gesto di minimalismo che in realtà diceva tutto: la musica all’interno era talmente ricca e variegata che non aveva bisogno di orpelli visivi.
Hamilton aggiunse un tocco di intimità inserendo all’interno di ogni copia un poster con immagini dei Beatles in situazioni informali e quattro ritratti fotografici dei membri del gruppo. Era come invitare i fan a entrare nella vita privata della band, un gesto che rifletteva l’approccio più personale e meno teatrale dell’album.
L’idea originale per il titolo era stata “A Doll’s House”, un apparente omaggio all’opera teatrale di Ibsen, ma il gruppo rock inglese Family li aveva preceduti pubblicando nell’agosto 1968 “Music in a Doll’s House”. Così nacque la decisione di chiamare l’album semplicemente “The Beatles”, un ritorno alle origini che paradossalmente rappresentava il loro lavoro più sperimentale.
Un Universo Musicale in Trenta Tracce
Il White Album è un viaggio attraverso tutti i generi musicali che avevano influenzato i Beatles: pop, rock, hard rock, country, jazz, blues e folk si mescolano in un caleidoscopio sonoro che testimonia l’incredibile versatilità del gruppo. È come se ogni membro avesse voluto mostrare tutte le sue facce artistiche in un unico, monumentale lavoro.
Paul McCartney si dimostra il più prolifico e versatile, spaziando dal rock and roll dirompente di “Back in the U.S.S.R.” – che apre l’album con un’energia esplosiva – alla filastrocca giocosa di “Ob-La-Di, Ob-La-Da”, dalla toccante “Blackbird” (ispirata alla lotta per i diritti civili degli afroamericani) alla country di “Rocky Raccoon”, dalla violenza sonora di “Helter Skelter” alla provocatoria “Why Don’t We Do It in the Road?”.
Quest’ultimo brano merita una menzione particolare per la sua genesi controversa.
Registrato il 9 ottobre 1968 – giorno del compleanno di John Lennon – con la sola presenza di Paul e Ringo, il brano divenne motivo di risentimento per Lennon, che fu deliberatamente escluso dalla registrazione. Forse fu la “vendetta” di McCartney per essere stato a sua volta escluso da “Revolution 9”, il pezzo sperimentale che Lennon aveva creato con l’aiuto di Yoko Ono.
John Lennon contribuisce con alcune delle sue composizioni più intense e personali. “Dear Prudence” era dedicata a Prudence Farrow (sorella dell’attrice Mia Farrow), che durante il soggiorno in India si era isolata così profondamente nella meditazione che gli altri si preoccuparono per lei. “Julia” è un omaggio toccante alla madre, mentre “Happiness Is a Warm Gun” – censurata dalla BBC per i suoi presunti riferimenti al sesso e alla droga – è un collage affascinante di tre temi musicali diversi.
“Revolution 9” rappresenta forse il momento più sperimentale della carriera dei Beatles, un paesaggio sonoro avant-garde di otto minuti che divide ancora oggi critici e fan. Con l’aiuto di Yoko Ono, Lennon creò un’opera di musica concreta che sembrava anticipare le sperimentazioni della musica elettronica.
George Harrison, spesso in ombra rispetto ai suoi compagni più prolifici, contribuisce con alcuni dei momenti più intensi dell’album. “While My Guitar Gently Weeps” è forse il suo capolavoro, un brano di rara bellezza emotiva impreziosito dalla chitarra solista di Eric Clapton – prima volta che un musicista esterno suonava su un album dei Beatles in studio. “Piggies” è invece una critica sociale pungente verso l’establishment, mentre “Long, Long, Long” è una meditazione spirituale di rara intensità.
Anche Ringo Starr trova il suo momento di gloria con “Don’t Pass Me By”, la prima canzone interamente sua su un album dei Beatles, e interpreta con toccante semplicità “Good Night” di Lennon, che chiude l’album con un’orchestrazione da sogno.
I Brani Perduti e i Misteri
Durante le lunghe sessioni di registrazione, furono incisi altri brani oltre ai trenta che finirono nell’album finale. “Not Guilty” di Harrison e “What’s the New Mary Jane” di Lennon non trovarono posto nel montaggio conclusivo, così come altri quattro brani presenti nei demo di Esher: “Child of Nature” (che Lennon trasformò poi in “Jealous Guy”), “Junk” di McCartney, “Circles” di Harrison e “Sour Milk Sea”, sempre di Harrison, ceduto poi a Jackie Lomax.
Un mistero particolare circonda “Etcetera”, una traccia registrata da McCartney durante le sessioni ma di cui Paul portò via il nastro senza che se ne sapesse più nulla. E poi c’è quel brevissimo frammento alla fine di “Cry Baby Cry”, una melodia triste cantata da Paul con le parole “Can you take me back?” che avrebbe alimentato, anni dopo, le leggende sulla presunta morte di McCartney.
L’Ombra Sinistra di Manson
Il destino volle che questo album di straordinaria bellezza e creatività diventasse involontariamente protagonista di uno dei capitoli più oscuri della cronaca americana. Charles Manson, il leader di una setta criminale, sviluppò un’ossessione patologica per il White Album, interpretandolo come una profezia dell’Apocalisse e un incitamento alla guerra razziale.
Nella mente distorta di Manson, brani come “Helter Skelter”, “Blackbird”, “Piggies” e “Revolution 9” contenevano messaggi nascosti che lo autorizzavano a compiere gli efferati omicidi di Sharon Tate e dei coniugi LaBianca nell’agosto del 1969. Questa tragica associazione gettò un’ombra sinistra sull’album, dimostrando come l’arte possa essere distorta da menti malate fino a giustificare l’orrore.
Il Trionfo Commerciale e Critico
Nonostante tutti i conflitti, le tensioni e le preoccupazioni di George Martin, il White Album si rivelò un successo strepitoso. Accolto positivamente dalla critica fin dal momento della pubblicazione il 22 novembre 1968, fu giudicato artisticamente intenso e caratterizzato da una qualità sonora non comune.
Il successo commerciale superò ogni previsione: in meno di due mesi furono vendute quattro milioni di copie, e per dieci anni rimase il doppio LP più venduto di sempre. Oggi è l’album dei Beatles più venduto negli Stati Uniti, con 19 dischi di platino, un record che testimonia la sua duratura popolarità.
Il Capolavoro del Paradosso
Il White Album rimane uno dei paradossi più affascinanti della storia del rock: nato dal conflitto, ha creato armonia; nato dalla divisione, ha unito milioni di fan; nato dal caos, ha generato bellezza eterna. È un album che documenta la fine di un’era – quella dei Beatles come entità collettiva – ma allo stesso tempo celebra la nascita di quattro artisti individuali di straordinario talento.
In quelle trenta tracce c’è tutto: la gioia e la malinconia, l’amore e la rabbia, la tradizione e la sperimentazione, il sacro e il profano. È un album che non si può ascoltare, si può solo vivere, un’esperienza che ogni volta rivela nuovi dettagli, nuove sfumature, nuove verità.
Il White Album è la prova che a volte i capolavori non nascono nonostante i conflitti, ma proprio a causa di essi. È la dimostrazione che quando il talento puro si scontra con se stesso, può generare scintille che illuminano per sempre il panorama musicale.
Cinquant’anni dopo la sua pubblicazione, il White Album continua a stupire, a dividere, a emozionare. Continua a essere quello che è sempre stato: un disco impossibile da definire, impossibile da ignorare, impossibile da dimenticare. Un capolavoro nato dal caos, destinato all’eternità.
Tracce
Disco 1
Lato A
Testi e musiche di Lennon-McCartney, eccetto dove indicato.
- Back in the U.S.S.R. – 2:43
- Dear Prudence – 3:56
- Glass Onion – 2:17
- Ob-La-Di, Ob-La-Da – 3:08
- Wild Honey Pie – 0:53
- The Continuing Story of Bungalow Bill – 3:14
- While My Guitar Gently Weeps – 4:45 (Harrison)
- Happiness Is a Warm Gun – 2:43
Durata totale: 23:39Lato B
Testi e musiche di Lennon-McCartney, eccetto dove indicato.
- Martha My Dear – 2:28
- I’m So Tired – 2:03
- Blackbird – 2:18
- Piggies – 2:04 (Harrison)
- Rocky Raccoon – 3:32
- Don’t Pass Me By – 3:50 (Starkey)
- Why Don’t We Do It in the Road? – 1:41
- I Will – 1:46
- Julia – 2:54
Durata totale: 22:36
Disco 2
Lato A
Testi e musiche di Lennon-McCartney, eccetto dove indicato.
- Birthday – 2:42
- Yer Blues – 4:01
- Mother Nature’s Son – 2:48
- Everybody’s Got Something to Hide Except Me and My Monkey – 2:24
- Sexy Sadie – 3:15
- Helter Skelter – 4:29
- Long, Long, Long – 3:04 (George Harrison)
Durata totale: 22:43Lato B
Testi e musiche di Lennon-McCartney, eccetto dove indicato.
- Revolution 1 – 4:15
- Honey Pie – 2:41
- Savoy Truffle – 2:54 (George Harrison)
- Cry Baby Cry – 3:01
- Revolution 9 – 8:22
- Good Night – 3:11
Durata totale: 24:24