Luca, grazie per aver accettato questa chiacchierata. Vorrei che ci raccontassi dall’inizio come è nato questo progetto.
Il progetto è nato nel 2017, da un incontro casuale tra me ed Elia, il batterista della band.
Ci siamo conosciuti al mare, in una di quelle serate in cui inizi a parlare del più e del meno con qualcuno appena incontrato. Abbiamo scoperto che abitavamo a mezz’ora di distanza l’uno dall’altro. Lui voleva suonare, io volevo suonare; avevamo gli stessi gusti musicali e le stesse idee.
Così, ci siamo trovati un giorno in sala prove e abbiamo iniziato a sperimentare.
Successivamente, abbiamo cercato gli altri componenti della band ed è arrivato Dani, il nostro bassista.
Abbiamo pubblicato un EP chiamato “Riparo”, che ormai è praticamente introvabile. Tuttavia, grazie a quell’EP siamo riusciti a fare un tour di 80 date in Italia.
Non sono poche 80 date, considerando che vi esibivate con brani originali.
Sì, tutto questo è successo prima del Covid.
Prima del Covid era tutto più libero, riuscivamo a suonare di più, c’era quasi un’aria più poetica.
Il tour si è concluso alla grande: abbiamo aperto il concerto dei Fast Animals and Slow Kids per la chiusura del loro tour “Animali Notturni”, con un concerto sold out fantastico. Proprio quando stava per succedere qualcosa di meraviglioso, è arrivato il Covid.
Come siete riusciti a fare un tour dopo l’uscita di un EP?
Rompevamo le scatole a chiunque.
Una volta potevi disturbare chiunque e ti rispondevano, ma adesso non è più così.
Noi rompevamo davvero le scatole a tutti: andavamo lì, scrivevamo, chiamavamo, perché era tutto molto più diretto. Ora, purtroppo, è diventato molto più difficile sotto molti aspetti.
Dopo quel tour, cos’è successo?
È arrivato il Covid, e ci siamo persi.
Ci siamo scoraggiati, come tutti in quel periodo. Molte persone si sono trovate smarrite, e noi ci siamo chiesti: che facciamo ora?
Così abbiamo provato a scrivere qualcosa. Abbiamo fatto dei singoli, prodotti con Domenico, il batterista dei Voina, perché siamo amici e ci piaceva l’idea di collaborare insieme.
Finito il Covid, un giorno è arrivata la chiamata di Jacopo dei Fast Animals and Slow Kids, che ci ha chiesto: “Ragazzi, ma che state facendo ?” E io: “Guarda, non lo so, siamo un po’ persi.” E lui: “Ok, venite in studio che iniziamo a registrare qualcosa.” Così è nata “Vertigine” e abbiamo iniziato a pensare di fare un disco con lui. Siamo stati chiusi quasi un anno e mezzo in studio, lavorando solo sulla nostra musica.
Com’è nata la conoscenza con i Fast Animals and Slow Kids ?
Considera che io e Alessandro, il chitarrista dei “FASK” , ci conosciamo da quando avevamo 14 anni.
Siamo cresciuti più o meno nello stesso ambiente, quindi ci conosciamo da tanto tempo.
Nonostante la forte amicizia, non c’ è mai stata una collaborazione a livello musicale perché non volevamo che ci dipingessero come dei “raccomandati” .
Ci siamo sempre rispettati molto. Pensa che, se non ricordo male, Alessandro ha registrato alcune chitarre senza che io lo sapessi sul nostro nuovo disco.
Un giorno sono arrivato in sala registrazione e lui aveva già registrato alcune parti di chitarra per noi; tutto molto spontaneo e genuino, senza una richiesta esplicita.
So che sei anche un illustratore, se non sbaglio. Raccontami anche questo aspetto di te.
Nel 2017, più o meno, ho aperto una pagina Instagram con lo pseudonimo “Nope“, in cui pubblicavo le mie illustrazioni ma non la curavo molto.
Durante il lockdown, visto che abitavo da solo con il mio gatto, mi sono detto: “Perché non riprendo a illustrare ?” .
Il disegno mi permetteva di sfogarmi un po’ in un momento molto difficile in cui eravamo tutti costretti in casa.
Ho iniziato a fare piccoli sketch in cui il gatto rappresentava la mia coscienza.
Successivamente, ho realizzato anche illustrazioni a colori che non c’entravano niente con i primi disegni, ma che mi permettevano di esprimere la mia creatività in modo diverso.
Ho anche iniziato a scrivere brevi racconti e poesie, sfogando così la mia vena artistica.
E invece dal punto di vista musicale, quando hai iniziato a suonare?
Avevo circa 6 anni.
Ero nella mansarda dei miei nonni e, per caso, ho trovato una vecchia chitarra spagnola distrutta che apparteneva a mia zia.
La prima volta che ho visto la chitarra, ho pensato: “Cosa sei tu?” .
Così ho iniziato a strimpellare. Nella casa dei miei nonni c’era anche un pianoforte, sempre di mia zia, e io ero sempre attratto da quei tasti bianchi e neri che producevano suoni.
In realtà, la musica è arrivata a me; non sono io che sono andato verso la musica, è come se lei fosse sempre arrivata prima, in tutto.
Non ti ha mai lasciato, oppure hai avuto dei momenti di pausa? Perché, solitamente, la musica o l’arte in generale crea una dipendenza incredibile, ma se non ti dà soddisfazione, può essere lasciata da parte per un po’ di tempo, per poi ritornare più prepotente di prima. E’ stato così per te ?
Esattamente, perché, per usare un francesismo, la musica è una puttana sotto molti aspetti.
Tu le dai tutto, ma lei ti amerà soltanto quando le interessa amarti.
Lei si prenderà tutto: tempo, soldi, sanità mentale, qualunque cosa, e ti darà solo il 10% di ciò che le dai.
Diventa una relazione quasi tossica.
Ci sono stati momenti in cui ho avuto il classico blocco dello scrittore: vuoto totale. Non riuscivo più ad ascoltare la musica, non volevo andare ai concerti, non riuscivo nemmeno a scrivere nulla, zero.
Quindi ti sei allontanato completamente dalla musica in quel periodo?
Sì, volevo solo ascoltare podcast, non volevo sentire nient’altro.
Provavo un ribrezzo totale per la musica, quasi guardavo le persone intorno a me e mi veniva un sacco d’ansia.
Credo che se ami veramente la musica e non provi certe cose, vuol dire che non la ami abbastanza.
Sono perfettamente d’accordo con te. Quello che hai provato tu, l’ho provato anch’io in passato. Ho avuto un ribrezzo totale per la musica, proprio come hai raccontato. Pensa che ho tenuto le mie chitarre rinchiuse nelle loro custodie per anni, senza neanche toccarle. Mi ci ritrovo tantissimo in quello che dici. Ora vorrei parlare dei due singoli che sono usciti. “Mostri” tratta un argomento molto delicato, spesso difficile da esporre per paura del giudizio altrui, come se dovesse essere tenuto nascosto, come se nessuno dovesse palesare le proprie difficoltà. Come è nato questo pezzo e perché avete voluto trattare questo argomento?
l tema della salute mentale mi è molto caro perché ho sofferto per tanti anni di attacchi di panico fortissimi, che mi hanno quasi portato a chiudermi in casa senza riuscire più a fare nulla.
Ho intrapreso un percorso di terapia, che non lascerò mai più nella mia vita perché è la cosa migliore del mondo, e allo stesso tempo ho iniziato a parlarne pubblicamente sulla mia pagina Instagram.
Ho notato che, parlando di salute mentale, di disturbi legati all’ansia e al panico, c’erano tante persone che dicevano: “Cavolo, allora non sono solo, non sono l’unico” .
Il problema più grande è che questo tema è considerato uno stigma, un tabù che non viene affrontato per paura e vergogna, come se fossi un appestato.
Io credo che il problema del mondo non sia questo. La salute mentale è fondamentale.
Se mi rompo una mano, vado al pronto soccorso, mi faccio ingessare e curare.
La mente al contrario, non viene mai considerata come un organo o una parte fondamentale della vita umana. In realtà, la testa e la salute mentale sono tutto.
Ti capisco benissimo e questo è un aspetto che spesso viene trascurato. Parliamo ancora di “Mostri”. Questo brano è nato anche in un momento in cui vedevi poche speranze ?
“Mostri” è nata in un momento in cui vedevo pochissime speranze.
Vedevo i miei compagni che faticavano ad arrivare a fine mese, nonostante in giro la gente diceva: “Ci sono speranze, ci sono opportunità per crescere, per fare questo o quello”. In realtà, il modo per arrivare a quelle opportunità, era il più sbagliato di tutti.
Dovevi abbassarti a fare il servo della situazione, dovevi sopportare condizioni miserabili per giorni, solo per poi scoprire che non riuscivi comunque ad arrivare a fine mese.
Questo ti faceva sentire un fallito, una nullità, perché la società di oggi sembra trovare piacere nel far sentire i giovani come dei falliti.
Quando senti frasi del tipo “Alla tua età facevo sacrifici, avevo una casa, una famiglia”, non lo trovo corretto perchè devi ricordarti che i tempi erano diversi.
A quell’età, avevi uno stipendio diverso, delle spese diverse e una situazione economica diversa.
Ora, noi giovani stiamo pagando le conseguenze di quelle situazioni economiche passate.
“Mostri” nasce proprio da questa rabbia, da questo senso di smarrimento generazionale. Ho paura che questa situazione si stia prolungando troppo e che possa influenzare anche le future generazioni.
Sì, forse il rischio è che, se non si interviene rapidamente, si vada un po’ alla deriva. Arriviamo all’ultimo singolo appena uscito, “Quello che resta”. Il disco parte in un mood e poi non ti aspetti questo ritornello che apre in un modo fantastico. C’è però una cosa che mi ha lasciato perplesso, in senso costruttivo: a un certo punto entra il sax, che non mi aspettavo per niente. Perché avete scelto di introdurre il sax in un pezzo di questo genere?
Il sax è stato introdotto per un motivo preciso.
Ascolto molto Bruce Springsteen, Sam Fender, i The 1975, e adoro il loro mood con molti fiati, anche i Bleachers.
Ho sempre amato quella sonorità e ho sentito l’esigenza di portarla nella nostra musica. Poi, mi sono reso conto che nessuna band del nostro genere utilizza i fiati in questo modo, quindi ho pensato che sarebbe stata una scelta interessante e innovativa.
Quindi è stata una scelta stilistica, dettata un po’ dal tuo background musicale e dal desiderio di inserire qualcosa che sentivi mancasse in quel brano?
Sì, esatto.
Mentre registravamo il pezzo, sentivo che mancava qualcosa.
Continuavo a ripetermi che c’era un elemento che non mi convinceva del tutto.
A un certo punto ho pensato: “Ci mettiamo il sax”. E il giorno in cui l’abbiamo registrato, tutto ha preso un altro suono, un altro impatto. È diventato un’altra cosa, completamente diversa e decisamente migliore.
Devo dire che in questo brano si sente particolarmente la collaborazione di Jacopo. Sento l’influenza del mondo dei Fast Animals and Slow Kids, ma senza risultarne una copia. Rimane comunque un sound con molta personalità.
Grazie, è bellissimo sentirtelo dire.
Quando abbiamo deciso di collaborare con Jacopo, la nostra principale preoccupazione era proprio quella di non sembrare una copia di qualcosa che già esisteva.
Volevamo mantenere la nostra identità e personalità nel sound, e sono davvero felice che questo sia emerso chiaramente nel brano.
Che genere fanno oggi i Lagoona? Non amo particolarmente le etichette, ma vorrei capire in che panorama musicale vi identificate.
Non lo so, ti giuro, non ho idea.
Sicuramente c’è del rock, però c’è anche del pop, dell’elettronica… un po’ di tutto, un mix di tante cose.
Se dovessi dare una definizione, direi “alternative”, perché i nostri brani hanno una scrittura molto pop, ma con molte influenze diverse.
Quindi, davvero, non so come definirci con precisione.
Lasciamo in sospeso la definizione del vostro genere; sarà il futuro a decidere dove saranno collocati i Lagoona. Ora sono usciti questi due singoli. C’ è in progetto un album, oppure un EP, o qualcos’altro?
Abbiamo un album già pronto che faremo uscire in autunno.
State pensando a un tour?
Sì, stiamo pensando a un tour invernale per promuovere il disco.
Siamo arrivati verso la fine ma ho ancora una domanda per te. Immagina di essere in una grande stanza della musica, dove puoi trovare tutti i dischi pubblicati sulla faccia della terra. Però puoi sceglierne solo tre. Quali album scegli?
Cavolo, questa è una domanda stronza.
Però ti rispondo di pancia: scelgo “Grace” di Jeff Buckley, “Blonde” di Frank Ocean e “The 1975” dei The 1975.
Luca grazie, abbiamo finito. Per me è stato un vero piacere.
Anche per me.
Ci vediamo presto.
Grazie mille, ciao!