Deep Purple in Rock 1970: la nascita dell’ Heavy Metal

La storia del disco Deep Purple in Rock (1970): come nacque l'heavy metal dalla Mark II con Gillan e Blackmore. Segreti, aneddoti e l'impatto di Child in Time.
Deep Purple in Rock cover album

C’è un momento preciso nella storia del rock in cui tutto cambia. Un istante in cui la musica smette di essere semplice intrattenimento e diventa una forza primordiale, viscerale, capace di scuotere le fondamenta stesse di quello che credevamo fosse possibile con chitarre, basso, batteria e voce umana. Quel momento ha un nome: Deep Purple in Rock, l’album che il 5 giugno 1970 riscrisse per sempre le regole del gioco musicale.

Non si trattò di un’evoluzione graduale, ma di una vera e propria rivoluzione sonora orchestrata da cinque musicisti britannici che decisero di oltrepassare ogni limite di volume, intensità e potenza. Fu l’album che trasformò i Deep Purple da una band in cerca di identità in pionieri di un genere che avrebbe dominato i decenni successivi: l’heavy metal.

Il Momento della Scelta: Quando il Destino Bussa alla Porta

Nel maggio del 1969, i Deep Purple si trovavano a un bivio cruciale. Tre album alle spalle, un discreto successo negli Stati Uniti, ma la sensazione opprimente di non aver ancora trovato la propria strada musicale. Ritchie Blackmore, Jon Lord e Ian Paice – i tre sopravvissuti della formazione originale – sapevano che qualcosa doveva cambiare, e drasticamente.

La scintilla arrivò quando Blackmore sentì l’album di debutto dei Led Zeppelin. Fu come una rivelazione, un fulmine che illuminò improvvisamente la direzione da prendere. “Voglio fare un tentativo per diventare veramente pesanti”, disse ai suoi compagni di band. Quelle parole avrebbero cambiato non solo il destino dei Deep Purple, ma l’intera storia del rock.

Rod Evans, il cantante della prima formazione, aveva una voce piacevole ma inadatta alle ambizioni sonore che stavano nascendo nella mente di Blackmore. Serviva qualcuno capace di competere con la potenza strumentale che il chitarrista immaginava, qualcuno che non si sarebbe arreso davanti a muri di amplificatori spinti al limite della distorsione.

Il 4 giugno 1969, i tre musicisti si presentarono a un concerto degli Episode Six a Woodford Green. Non erano lì per il piacere della musica, ma con una missione precisa: studiare Ian Gillan, il cantante che Mick Underwood aveva suggerito come possibile sostituto di Evans. Quello che videro e sentirono quella sera li convinse immediatamente: Gillan aveva la voce che stavano cercando, una voce capace di penetrare attraverso qualsiasi barriera sonora.

L’Alleanza Inaspettata: Quando Due Diventano Cinque

Ma il destino aveva in serbo una sorpresa ancora più grande. Ian Gillan e Roger Glover, bassista degli Episode Six, erano amici e collaboratori musicali inseparabili. Quando fu offerto il posto a Gillan, lui propose un accordo: Glover avrebbe potuto aiutare i Deep Purple nelle composizioni, anche senza entrare ufficialmente nella band.

Il 7 giugno, durante una sessione per il singolo “Hallelujah”, Glover suonò come musicista di studio. Fu sufficiente quella singola sessione per far cambiare idea al bassista: la chimica musicale che si creò quella sera era troppo potente per essere ignorata. Così, quello che doveva essere un cambio di cantante si trasformò nella nascita della formazione più leggendaria della storia dei Deep Purple: la Mark II.

La transizione non fu indolore. Rod Evans e Nick Simper scoprirono di essere stati licenziati solo quando si resero conto che la band stava registrando con altri musicisti. Il loro ultimo concerto fu il 4 luglio 1969, mentre la nuova formazione debuttò allo Speakeasy Club di Londra il 10 luglio. Era nato un nuovo mostro sonoro.

Il Laboratorio del Rumore: L’Hanwell Community Centre

Se ogni grande album ha il suo luogo di concezione mitologico, per “In Rock” quel luogo fu l’Hanwell Community Centre. Roger Glover lo descrisse con parole che sono diventate leggendarie: “Era l’unico posto che potessimo trovare in cui si potesse fare un sacco di rumore”.

In quella struttura, tra l’estate e l’autunno del 1969, i Deep Purple forgiarono il suono che avrebbe definito l’heavy metal. Era qui che presero forma le strutture base di “Child in Time” e “Speed King” (allora chiamata “Kneel And Pray”), i due pilastri su cui si sarebbe retto l’intero edificio dell’album.

L’approccio era rivoluzionario nella sua semplicità: tutto doveva essere rumoroso, pesante, potente. Non si trattava più di cercare la melodia perfetta o l’arrangiamento sofisticato, ma di creare una massa sonora in grado di travolgere fisicamente l’ascoltatore. Era musica concepita per essere sentita con il corpo, non solo con le orecchie.

Deep Purple – Speed King (1995 Remastered)

La Forgia Sonora: Tra Palchi e Studi di Registrazione

Le registrazioni di “In Rock” iniziarono nell’ottobre 1969 presso gli IBC Studios di Londra, ma il vero laboratorio creativo furono i palcoscenici di tutta Europa. I Deep Purple avevano capito che per catturare l’essenza della loro musica su vinile, dovevano prima perfezionarla dal vivo, davanti a un pubblico che potesse testarne l’impatto emotivo.

Ian Gillan ricordava di aver suonato 50 concerti nella sola prima metà del 1970, più altri 15 in Europa. Ogni sera era un esperimento, ogni concerto un’occasione per affinare gli arrangiamenti, per spingere sempre più in là i confini del volume e dell’intensità. La filosofia era chiara: se una canzone non funzionava dal vivo, non meritava di stare sull’album.

Martin Birch, l’ingegnere del suono che divenne il loro collaboratore fisso, aveva un compito apparentemente impossibile: catturare su nastro la potenza devastante dei Deep Purple in concerto. Roger Glover ricordava di aver visto i VU meter degli studi puntare costantemente nella zona rossa, quella della distorsione del suono. Non era un problema da risolvere, era l’obiettivo da raggiungere.

I Monumenti Sonori: Brano per Brano nella Leggenda

“Speed King” apre l’album come un pugile che entra sul ring: con violenza, senza preavviso, senza scuse. Nata da un giro di basso che Roger Glover aveva scritto nel tentativo di emulare “Fire” di Jimi Hendrix, la canzone divenne qualcosa di completamente diverso quando Ian Gillan vi aggiunse testi presi da vecchie canzoni rock’n’roll di Little Richard. Il risultato fu un’esplosione di energia pura che annunciava al mondo: i Deep Purple non stavano scherzando.

Ma è con “Child in Time” che l’album raggiunge vette artistiche inimmaginabili. Nata quasi per caso quando Jon Lord iniziò a suonare l’introduzione di “Bombay Calling” degli It’s a Beautiful Day, la canzone si trasformò in un’epopea sonora di oltre dieci minuti. Ian Gillan scrisse un testo ispirato dalla guerra in Vietnam, e la sua voce – capace di passare da sussurri angelici a urli primordiali – divenne lo strumento perfetto per veicolare il dolore e la rabbia di un’epoca in trasformazione.

“Child in Time” non fu solo una canzone, ma un anthem generazionale che trascese i confini musicali per diventare simbolo di resistenza. Durante il periodo della Cortina di Ferro, divenne l’inno de facto dei movimenti di resistenza anti-comunisti nell’Europa dell’Est. Era la prova che il rock poteva essere molto più di semplice intrattenimento: poteva essere rivoluzione.

Deep Purple – Child in Time (From Stranger Things)

L’Arte della Provocazione: La Copertina che Sfidò l’America

La copertina di “In Rock” fu un colpo di genio provocatorio che riassumeva perfettamente l’attitudine della band. I volti dei cinque membri della Mark II che sostituivano quelli dei quattro presidenti americani scolpiti nel Monte Rushmore non erano solo un’immagine accattivante: erano una dichiarazione di guerra culturale.

Era il modo dei Deep Purple di dire al mondo che loro erano i nuovi monumenti della musica, che il rock britannico non doveva più inchinarsi davanti al mercato americano. Era un gesto di suprema fiducia artistica da parte di una band che stava per dimostrare che le loro ambizioni non erano affatto eccessive.

Il Processo Creativo: Quando Cinque Diventano Uno

A differenza degli album precedenti, tutte le canzoni di “In Rock” furono accreditate collettivamente a tutti i membri dei Deep Purple. Non era solo una questione di diritti d’autore, ma il riflesso di un nuovo approccio compositivo. Come spiegò Jon Lord, l’obiettivo era fare “uno sforzo consapevole per fermarsi e pensare a scrivere del materiale che avremmo capito tutti”.

“Bloodsucker” nacque nei De Lane Lea Studios e fu completata agli Abbey Road Studios, con Ian Paice che si divertì particolarmente a suonare sulla traccia. “Flight of the Rat” si evolse da un riarrangiamento ironico di “Il volo del Calabrone” ideato da Roger Glover, dimostrando come anche la musica classica potesse essere piegata alle esigenze del rock pesante.

“Into the Fire” portava un messaggio sociale – era un avvertimento contro le droghe scritto da Glover – mentre “Hard Lovin’ Man” nacque come jam session sviluppata collettivamente dalla band. Ogni brano era il risultato di un processo democratico in cui cinque personalità musicali distinte si fondevano in un’unica visione artistica.

Il Singolo che Cambiò Tutto: “Black Night”

Dopo aver completato l’album, i manager erano preoccupati dalla mancanza di un singolo commercialmente appetibile. Fu così che, all’inizio di maggio 1970, la band si ritrovò di nuovo in studio con il compito apparentemente impossibile di scrivere una hit.

La soluzione arrivò quando Ritchie Blackmore iniziò a suonare il riff utilizzato da Ricky Nelson nel suo arrangiamento di “Summertime”, mentre il resto del gruppo improvvisò la struttura. Ian Gillan confessò in seguito di aver cercato di scrivere “il testo più banale a cui potessimo pensare”. Il risultato fu “Black Night”, che raggiunse la seconda posizione nelle classifiche britanniche e divenne la prima vera hit dei Deep Purple nel Regno Unito.

Era la prova che i Deep Purple potevano essere sia pesanti che commerciali, senza tradire la loro essenza artistica.

Black Night (1995 Remastered)

L’Esplosione del Successo: Quando il Mondo si Accorse

Il successo di “In Rock” superò ogni previsione. L’album raggiunse la quarta posizione nel Regno Unito e rimase in classifica per oltre un anno, un risultato straordinario per un disco così pesante e sperimentale. Era la conferma che esisteva un pubblico affamato di musica più potente, più diretta, più viscerale.

La critica dell’epoca accolse l’album con entusiasmo. Rodney Collins di Record Mirror lo definì “un album straordinariamente buono” che dimostrava che “il rock, data una bella coltellata e una svegliata al materiale, è ancora una delle aree più gratificanti della musica contemporanea”. Richard Green del New Musical Express lo descrisse come “buono, rock carnoso fino in fondo”, elogiando in particolare la performance vocale di Ian Gillan in “Child In Time”.

Il Palcoscenico Come Teatro: Il Concerto Come Rito

I Deep Purple non si limitarono a registrare musica pesante: la portarono sui palcoscenici con una teatralità che anticipò di anni lo spettacolo del rock moderno. Il culmine arrivò il 9 agosto al National Jazz and Blues Festival, quando Ritchie Blackmore diede letteralmente fuoco ai suoi amplificatori, creando un momento di puro teatro rock che rimase impresso nella memoria collettiva.

Era la dimostrazione che i Deep Purple non erano solo musicisti, ma performer totali, capaci di trasformare ogni concerto in un evento memorabile.

L’Eredità Infinita: Pionieri di un Nuovo Mondo

Eduardo Rivadavia di AllMusic definì “In Rock” “uno degli album che definisce l’heavy metal”, e aveva ragione. Quello che i Deep Purple crearono nel 1970 fu il template su cui si sarebbero basati migliaia di band nei decenni successivi. Malcolm Dome, giornalista e critico musicale, dichiarò: “In Rock è uno dei migliori album… non solo dei Purple, di chiunque”.

Lo stesso Ritchie Blackmore, notoriamente critico verso il proprio lavoro, ammise che insieme a “Machine Head” del 1972, “In Rock” rimane il suo album preferito del periodo con i Deep Purple. Era il riconoscimento definitivo da parte del principale architetto di quel suono rivoluzionario.

L’Impatto Culturale: Oltre la Musica

“Child in Time” divenne molto più di una canzone rock: si trasformò in un simbolo di resistenza politica nell’Europa dell’Est durante la Guerra Fredda. Era la prova che il rock poteva trascendere i confini dell’intrattenimento per diventare veicolo di messaggi sociali e politici profondi.

L’album stabilì anche nuovi standard tecnici per la registrazione della musica rock. L’approccio di Martin Birch, teso a catturare la potenza live su nastro, divenne il modello per generazioni di produttori e ingegneri del suono.

Il Giorno in cui Nacque l’Heavy Metal

“Deep Purple in Rock” non fu solo un album, ma un evento storico. Fu il momento in cui il rock smise di essere semplice musica per diventare una forza della natura, un fenomeno fisico capace di scuotere non solo i timpani, ma l’anima stessa degli ascoltatori.

Cinquant’anni dopo la sua pubblicazione, “In Rock” continua a suonare fresco, potente, rivoluzionario. Continua a essere quello che è sempre stato: il momento esatto in cui nacque l’heavy metal, il disco che insegnò al mondo cosa significava davvero “suonare pesante”.

In quelle sette tracce c’è tutta la potenza primordiale del rock, la dimostrazione che quando talento, ambizione e volume si incontrano, possono creare qualcosa di immortale. I Deep Purple non si limitarono a registrare un album: forgiarono un nuovo linguaggio musicale che continua a parlare alle nuove generazioni con la stessa intensità devastante di quel lontano 1970.

“In Rock” rimane la prova definitiva che a volte, per creare qualcosa di veramente rivoluzionario, basta avere il coraggio di alzare il volume e lasciare che la musica parli con la sua voce più potente.

Tracce

Versione originale

Testi e musiche di Ritchie Blackmore, Ian Gillan, Roger Glover, Jon Lord e Ian Paice.

  1. Speed King – 5:49
  2. Bloodsucker – 4:10
  3. Child in Time – 10:14
  4. Flight of the Rat – 7:51
  5. Into the Fire – 3:28
  6. Living Wreck – 4:27
  7. Hard Lovin’ Man – 7:11

Tracce bonus per la 25th Anniversary Edition

  1. Black Night (original single version) – 3:27
  2. Studio Chat (1) – 0:28
  3. Speed King (versione in piano) – 4:14
  4. Studio Chat (2) – 0:25
  5. Cry Free (remix di Roger Glover) – 3:20
  6. Studio Chat (3) – 0:05
  7. Jam Stew (strumentale) – 2:30
  8. Studio Chat (4) – 0:40
  9. Flight of the Rat (remix di Roger Glover) – 7:53
  10. Studio Chat (5) – 0:31
  11. Speed King (remix di Roger Glover) – 5:52
  12. Studio Chat (6) – 0:23
  13. Black Night (remix inedito di Roger Glover) – 4:47

Formazione

  • Ian Gillan – voce
  • Ritchie Blackmore – chitarra
  • Roger Glover – basso
  • Jon Lord – tastiere
  • Ian Paice – batteria

Ascolta Deep Purple in Rock:

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